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Benevento, 06-09-2025 11:56 ____
E' sconvolgente quello che il professore scopre dopo essere arrivato a toccare con mano il Talismano, non lo avrebbe mai immaginato...
Leggendo al contrario la scritta incisa sul retro lo spirito del diavolo verra' liberato e potra' nuovamente perpetrare i suoi malefici. Sarebbe la nostra fine. Senza piu' impedimenti, gli animali si ammaleranno improvvisamente, uomini e donne non saranno piu' fecondi, i bambini si ritroveranno senza piu' voce... ma il finale e' da thriller, si legge nella terza ed ultima parte del racconto di De Lipsis e Palmieri
Nostro servizio
  

Ed eccoci alla terza ed ultima parte del racconto di Luca De Lipsis e Giuseppe Palmieri intitolato "Il talismano", un avvincente giallo che ha destato l'interesse dei lettori.
Il numero di coloro che hanno visualizzato il racconto è diminuito, come si legge dai numeri che "Gazzertta" non nasconde ma che propone invece utilmente ai suoi tantissimi lettori, anche per una riflessione.
La prima puntata del primo racconto che abbiamo pubblicato con questa iniziativa dal sapore esclusivamente estivo, non è andata bene, ma benissimo e così anche parte della seconda.
Poi il numero dei lettori è andato scemando e siamo tornati a porgerci la domanda del perché nella nostra città, ma non solo ovviamente, si legga così poco.
De Lipsis, sempre presente quando ha potuto, agli eventi culturali che si tengono in città, soprattutto con Città-Spettacolo a piazza Federico Torre, è stato fermato da più lettori che gli hanno fatto tanti i complimenti con l'invito a non mollare.
Noi ci permettiamo di dirgli lo stesso. Abbiamo un compito, un ruolo, noi come giornale, che dobbiamo adempiere, al di là anche dei numeri, talvolta. E' questo ruolo lo deve svolgere anche l'uomo di cultura che deve insistere, insistere ed insistere.
Qualcosa del nostro lavoro resterà e di questo dobbiamo esserne contenti e fieri.
Grazie a De Lipsis e Palmieri.

                                                                                    IL TALISMANO 
                                                                              terza ed ultima parte


Palmieri si risvegliò ancora intontito dentro un letto che non era il suo. La stanza gli girava intorno senza che lui riuscisse a fissare un punto del soffitto. Riconobbe al suo capezzale il profilo di tre uomini che stavano discutendo tra di loro.
Piano piano la visione si fece più chiara e si rese conto di trovarsi ricoverato in ospedale. Cercò di aprire bocca ma il suono della voce uscì così flebile che nessuno se ne accorse.
Allora provò a sollevarsi ma fu subito soccorso dal medico che lo aiutò a mettersi seduto.
"Professore Palmieri" gli disse, "sono il dottor De Lisi, buongiorno. Finalmente sveglio. Lo sa? Ha dormito per circa dieci ore".
Ma cosa mi è successo? Come mai sono qui?, chiese portandosi la mano sulla nuca fasciata.
"Stanotte è stato aggredito davanti al Teatro Romano. Ha subito una lieve commozione cerebrale. Ma è stato più fortunato del suo amico, avvocato Vincente, che invece ha riportato anche una frattura al braccio destro.
Siete stati soccorsi dal vostro amico Giovanni Luongo che vi era venuto a cercare. Qui ci sono il commissario Tranquilli e il suo assistente Lepore che vorrebbero farle qualche domanda.
Ho detto che era possibile ma non dovevano affaticarla".
Mentre Palmieri lo ascoltava gli tornarono in mente, come in un flashback, gli avvenimenti della notte precedente, ma in ordine sparso. La chiave bronzea, la scultura, Vincente e i fari abbaglianti di un'auto.
"Prima mi chiedi aiuto e poi te ne freghi di darmi degli aggiornamenti" proruppe Tranquilli con un tono infastidito, "adesso non mi venire a dire che eri un turista insonne".
L'hai detto tu, rispose incautamente il professore ma quando vide il volto di Tranquilli rabbuiarsi, corresse il tiro. Scusami, Claudio! Ti vedevo così scettico che non volevo passare per pazzo. La frenesia della ricerca mi ha fatto fare cose inopportune. Ma ti giuro che stavolta sarai avvertito di tutto.
"Lo spero bene e comunque ringrazia il tuo amico Luongo. E' stato lui a soccorrervi stanotte dopo averci avvertiti. Ora raccontami tutto".
Palmieri gli riferì per sommi capi ciò che aveva letto, raccontandogli l'indizio nascosto nel Toro Apis e del suo proposito di perlustrare il Teatro Romano. Omise di raccontare che ci fosse effettivamente riuscito.
Disse di essere stato aggredito prima ancora di varcare le mura del Teatro.
Poi, quasi a voler distendere gli animi tesi, lo rassicurò che quella aggressione era bastata dal farlo desistere da ulteriori ricerche.
"Quindi mi stai dicendo che la tua indagine finisce qui".
Ti sto dicendo proprio questo. Purtroppo, per quanto mi sforzi di credere che i due episodi non siano collegati, ritengo di essermi messo in un gioco pericoloso, più grande di quanto sembri. E non ho più intenzione di mettere a rischio la mia vita.
"Lo voglio ben sperare!" aggiunse il commissario rasserenandosi, "hai corso un bel pericolo".
Così dicendo prese dalla tasca il suo taccuino e riprese il discorso: "Allora Ettore, assunto che qualcuno ce l'abbia con te, vorrei sapere se hai ricevuto minacce in queste settimane".
ll professore negò di avere ricevuto intimidazioni.
Lepore che aveva ascoltato la deposizione subentrò nell'interrogatorio: "Comunque professore, saprebbe descrivermi il luogo esatto dell’aggressione e il numero dei suoi aguzzini? Luongo l'ha trovata stordito nei pressi della sua macchina.
L'avvocato Vincente versava privo di sensi a faccia in giù cinquanta metri più avanti, in prossimità di una cabina telefonica. Luongo era solo e non ha visto nessuno. Così ha provveduto ad avvertire anche l'ambulanza.
Quando siamo giunti vi avevano già trasportato in ospedale.
Sul luogo dell'aggressione non abbiamo trovato armi. Solo un sasso macchiato di sangue, probabilmente usato per colpirvi. Inoltre, il baule interno della sua macchina era aperto.
Stamattina abbiamo provato ad interrogare l’avvocato ma è ancora sotto sedativo".
Palmieri si ricordò della chiave che aveva riposto nel baule e gli fu tutto più chiaro. Il tentato furto in casa e la successiva aggressione erano collegate al libro De magicis artibus et veneficiis. Qualcuno sapeva e lo stava pedinando. Ed ora era riuscito a impossessarsi sia della chiave che dell’altro indizio nascosto nel Teatro. Fortunatamente, nessuno lo aveva visto scavalcare la recinzione.
Nessuno dei presenti, quindi, era a conoscenza dell'infrazione. Doveva mantenere questa linea.
Sono stato aggredito alle spalle, non ho visto quanti fossero. Ho avvertito un dolore lancinante alla nuca e ho perso i sensi. Mi sono risvegliato qui. Ho ricordi confusi.
Tranquilli disse serio: "Da oggi sarai sotto sorveglianza. Lo dico per la tua incolumità. Non ti permetterò di cacciarti in altri casini o di combinare guai, fin quando non verremo a capo di tutto ciò".
Aveva appena finito la ramanzina quando intervenne il medico spazientito, invitando i poliziotti a lasciare la stanza perché il paziente doveva riposarsi.
Tranquilli concluse: "Allora Ettore noi ce ne andiamo. Comunque più tardi tornerò e dovrai sporgere un’altra denuncia per aggressione da parte di ignoti.
Noi faremo le nostre ricerche nel quartiere con la speranza di trovare qualche testimone oculare che possa aver riconosciuto i responsabili. Rimettiti presto. Ricorda le mie parole, niente più scherzi!"
Così dicendo, i poliziotti si congedarono.
Usciti dall'Ospedale si diressero verso la loro auto di servizio. Il racconto di Palmieri non li aveva del tutto convinti.
Lepore espose per primo i suoi dubbi: "Commissario, lei è proprio sicuro che ci ha raccontato tutta la verità? Il racconto del Toro Apis è veritiero perché quella sera ero in perlustrazione nella zona e li ho visti seduti vicino alla statua.
Mi hanno mentito sul reale motivo del loro incontro, evidentemente".
"Non posso esserne sicuro al cento per cento che ci abbia raccontato tutto. Di una cosa sono convinto. Conoscendo la sua caparbietà se ha qualche altro indizio per le mani non se lo farà sfuggire".
"A me questa vicenda non è chiara", aggiunse il sovrintendente.
"Lo so, anche io ho parecchi punti oscuri da chiarire. Comunque stamattina ho avviato alcune indagini tra i conoscenti più stretti. A parte la figlia lontana, non ha molte amicizie. Sono risalito al signor Bruno, il bibliotecario comunale.
L'ho interrogato stamattina prima di venire in Ospedale. Mi ha detto che il professore era tutto eccitato per la scoperta del libro, ma non gli aveva accennato del racconto sul talismano.
Ha aggiunto di non conoscere questo testo. Di più non mi ha saputo raccontare".
"Il libro a cui alludeva nel suo racconto Palmieri?" chiese l'altro.
"Sì, De magicis artibus et veneficiis. Lo abbiamo trovato per caso nello studio del dottor Napolitano. Gli ho dato una lettura di sfuggita. Palmieri cercava informazioni per scoprire dove fosse nascosto l'oggetto sacro.
Sembra che il percorso per trovarlo sia celato in alcuni passaggi del libro. Ma a questo punto ritengo che non sia l’unica persona interessata a ritrovarlo. Ma chi può avere interesse a intralciare le sue ricerche?
E perché Ettore ha rischiato la sua vita dando credito ad una stupida leggenda?"
Lepore rifletté ad alta voce. "In effetti se la storia della chiave ritrovata nel Toro Apis fosse vera, quello che è scritto nel racconto ha una sua attendibilità. Dobbiamo riuscire a risalire agli aggressori del professore, solo così il cerchio si potrà restringere e tutto sarà più chiaro".
Così dicendo, Lepore mise in moto la macchina e ripartì verso la questura. Entrato nell'edificio, Tranquilli lo salutò e si diresse nella stanza dell'archivio. Vi era posto un grosso armadio.
Aprì un’anta sulla cui superficie era affisso un cartello "Persone scomparse". Prese un vecchio librone impolverato, sollevando la fuliggine che vi era posta sopra. Gli scappò uno sternuto. Gli occhi si arrossarono. Era stato colto da un ennesimo attacco allergico.
Prese il fazzoletto dalla tasca del pantalone e si soffiò il naso.
Cominciò a sfogliare il faldone che aveva tra le mani. Vi erano molti casi irrisolti, la campagna circostante era ampia e ogni tanto qualche anziano con disturbi mentali, si perdeva tra i sentieri dei dintorni senza fare più ritorno a casa.
Le sparizioni denunziate erano catalogate anno per anno e la sua intuizione risultò giusta. Quello che lesse lo lasciò perplesso.
Intanto, fuori dalla porta della stanza di degenza, Giovanni aspettò che il medico finisse il giro visite.
Poi entrò alla chetichella e si avvicinò all’amico convalescente. Appena lo vide Palmieri cercò di alzarsi in piedi per andare a ringraziarlo. Le forze gli vennero meno. Fu mantenuto dal librario e ridisteso sul letto ospedaliero.
"Sei ancora debole, non ti affaticare. Ho visto uscire i due poliziotti. Vorresti raccontare anche a me come si sono svolti i fatti?"
Palmieri raccontò nuovamente tutta la vicenda così come si era svolta, fino al punto in cui era stato tramortito.
"Infatti" fece il libraio "vi ho trovati in condizioni pietose. Ho chiamato io l’ambulanza. Rodolfo sta messo peggio, ma se la caverà anche lui".
Quella sera che sono penetrati a casa mia cercavano il libro, ne sono certo, replicò Palmieri. Qualcuno sa della nostra scoperta. Non essendo riusciti a rubare il libro, ci hanno pedinato e poi aggredito. Sapevano della chiave nascosta nel Toro Apis.
Anch'essa è stata trafugata dalla mia macchina. Comunque adesso è tutto finito. Non abbiamo più niente tra le mani. Forse è meglio così
.
"Non del tutto" rispose il libraio. Così dicendo estrasse dalla tasca un foglio arrotolato e glielo porse. Palmieri lo srotolò e rimase sorpreso. Una nuova cartina. Era disegnato un percorso.
"Questo è quello che ho trovato nella bocca della scultura. Ieri mattina mi è venuta una idea. Sono andato davanti al Teatro e ho visto un gruppo di turisti che stavano entrando a visitarlo. Così mi sono aggregato a loro.
All'ora di punta, quando se ne sono andati, mi sono intrattenuto senza farmi vedere dal custode e sono sceso dietro il palcoscenico. Ho visto la statua indicata nella prima pergamena e ho trovato quest'altra cartina.
L'ho sostituita con quella ritrovata nel Toro Apis per non destare sospetti. Appena sono tornato a casa ho provato a contattarti ma il tuo telefono era staccato. Ho riprovato tutto il giorno.
Solo in serata mi sono ricordato che ti avevano interrotto la linea, così ho preso la macchina per raggiungervi. E vi ho trovato esanimi. Se ti avessi avvisato per tempo avrei evitato questa aggressione. Mi dispiace".
Ma non lo dire neanche per scherzo. Anzi, grazie alla tua tempestività il mio assalitore sarà rimasto con un palmo di naso. Chi sta ostacolando le nostre ricerche può avere anche le chiavi ma noi abbiamo l'altro indizio più importante.
Il percorso che conduce al talismano. Io l'ho studiato. Rappresenta la mappa topografica che conduce allo Stretto di Barba. Il luogo dove si riunivano le streghe per i loro sabba. C'è disegnato un grosso noce, è lì che è nascosto l'oggetto che cerchiamo.
Comunque dobbiamo essere prudenti. I nostri avversari sono dei tipi pericolosi e non scherzano. Dobbiamo andare fino in fondo, anche alla luce di questi avvenimenti.
C'è qualcosa di vero in quello che ho letto e voglio scoprire di che si tratta. E stavolta sarò più prudente. Abbiamo noi il coltello dalla parte del manico
.
Mentre ragionavano sul modo per eludere i loro nemici, bussarono alla porta.
Era l'architetto Palombi.
"Ciao amico mio" intervenne "sono appena stato da Rodolfo, mi ha raccontato per sommi capi della vostra aggressione, ma era ancora molto debole e l'ho lasciato riposare".
Ciao Franco entra pure, lui è Giovanni, non so se vi conoscete.
I due si presentarono, poi Giovanni si commiatò: "Ettore ti lascio riposare, mi raccomando... prudenza!" Gli strizzò l'occhio e se ne andò.
Appena furono soli, Palombi lo rimproverò: "Insomma, ma in che guaio vi cacciate? Io ve l'ho detto che non avete più l'età per queste cose. Lasciate perdere".
La nostra ricerca è a un punto di svolta, non intendo arretrare, con le dovute cautele voglio risolvere questo mistero. Ora lo devo anche a Rodolfo. Appena mi dimettono, continuerò la ricerca. Ho una cosa che loro non hanno.
Palombi scosse il capo afflitto, sicuro che non avrebbe mai convinto l'amico a desistere.
Lo conosceva da troppo tempo, sapeva della sua caparbietà, nessuna cosa al mondo l'avrebbe fatto arretrare. Però, caro Franco, mi devi fare un grosso favore. Avvicinati.
L'architetto tese l'orecchio e non poté che asserire, assecondando le richieste che gli venivano fatte. Palmieri fu dimesso il giorno successivo.
Prima di andarsene andò a salutare l'avvocato Vincente ancora ricoverato. Lo abbracciò calorosamente. Era ancora stordito dai farmaci ma cosciente.
Ciao Rodolfo come stai? Mi dispiace per quello che ti è successo. E' tutta colpa mia. Non dovevo coinvolgerti. Rodolfo rispose con un filo di voce: "Non è colpa di nessuno, lo abbiamo voluto entrambi. Stai sereno, mi riprenderò presto. E potremo continuare le nostre ricerche".
No, rispose Palmieri, adesso è una questione personale. Ieri Claudio mi ha interrogato e gli ho raccontato tutto l’accaduto. Poi è arrivato Giovanni e mi ha consegnato il secondo indizio. Lo ha trovato prima di tutti, è la mappa dello Stretto di Barba.
Vincente chiuse la mano a pugno e la sollevò come segno di vittoria. L'amico continuò: Io devo andare avanti, ma stavolta non voglio coinvolgere nessuno. Me la caverò anche solo. E poi, ho sempre la mia amica pistola a portata di mano.
Mi ha salvato una volta, lo farà ancora se necessario
.
Vincente ascoltò in silenzio il resoconto dell'amico. Era ancora molto debole. Gli prese la mano e la strinse tra le sue. Non poté fare altro che esclamare: "Buona fortuna, vecchio mio".
Ciao Giulia, due giorni fa sono stato aggredito, tagliò corto Palmieri. Era meglio dire tutta la verità, senza preamboli.
Dall'altro capo del telefono ci fu il silenzio. Dopo qualche secondo una voce rotta dal pianto rispose: "Lo sapevo che ti saresti cacciato in un brutto guaio. Ma come stai? Che ti è successo?"
Il padre le raccontò dell'assalto subito da lui e da Vincente, delle ferite da loro riportate, e dei postumi che avevano prolungato il ricovero dell'avvocato.
"Ma tu pensi che questo episodio sia collegato alla storia del libro?"
Penso di sì, hanno tentato di rubare il libro ma non ci sono riusciti. Poi mi hanno pedinato. Sapevano dei miei spostamenti. Hanno trovato il tempo e il modo giusto per assalirmi. Ma ti garantisco che non mi fermeranno.
Proprio adesso che ho la certezza che ci sia qualcosa di vero e di misterioso dietro a questa presunta leggenda
fece Palmieri.
"Papà, ma ne vane la pena? Per quale gloria vana stai rischiando la tua vita? Lascia perdere tutto e vieni da me" replicò la figlia.
Ti ho promesso che verrò e lo farò. Devo però concludere il percorso. Ma stavolta sarò più prudente.
"Sei più cocciuto di un asino. Allora fai come vuoi", rispose la figlia con voce alterata chiudendogli il telefono in faccia. Era disperata! Sapeva che era inutile dilungarsi in sterili discussioni.
Avrebbe dovuto fermare il padre di persona. Ma era lontana e doveva lavorare.
Tuttavia avrebbe visto come fare per rientrare il più presto possibile nella sua città d'origine. Avrebbe calmato il padre. E se lo sarebbe portato con lei. Anche il professore era rimasto scosso.
Attaccò la cornetta e si mise a riflettere sul rimprovero ricevuto. E se Giulia avesse ragione? Il rischio valeva l'impresa? Per cosa poi. Per ottenere felicità, ricchezza? Lui era ormai una persona anziana, tutto sommato era stato sempre un uomo felice e sano.
L'unico periodo di depressione era sopravvenuto dopo la morte dell’adorata moglie. Ma questo faceva parte di un evento accidentale che neanche il talismano avrebbe potuto riportare indietro.
La figlia oramai lontana aveva il suo percorso di vita e, a quanto ne sapeva, era serena anche lei.
Per un attimo pensò di desistere. Poi riconsiderò lo smacco subito, le sofferenze dell'amico ancora ricoverato e tutti i sacrifici fatti fino a quel momento.
Chiuse per un attimo gli occhi cercando di conciliare le idee ma quando li riaprì ritrovò le forze di un tempo.
Una improvvisa determinazione lo risollevò. Era più che convinto di quello che faceva. Non si sarebbe dato pace se non avesse trovato una spiegazione all'esperienza che stava vivendo.
Era quasi tentato di chiamare il commissario Tranquilli ma tale pensiero, così come era nato, si volatilizzò.
Coerente con quanto aveva detto, doveva agire da solo. Risoluto, prese un binocolo riposto nel cassetto dello studio e si recò nel sottotetto della villa.
Da lì aveva una completa visuale della strada sottostante. Avvicinò il binocolo agli occhi, osservò fuori.
La strada che costeggiava la villa era desolata. Vi erano macchine parcheggiate e una persona anziana portava al passeggio un cane legato al guinzaglio. Ma poi qualcosa attirò la sua attenzione.
Dentro una macchina posteggiata c'erano due uomini, uno fumava con la mano fuori dal finestrino, l'altro leggeva il giornale.
E se fossero gli uomini di Claudio? pensò tra sé e sé. Era un'ipotesi che aveva tenuto in considerazione. Ma aveva attuato le contromosse.
Lo smacco subito gli aveva acuito l'ingegno. Non si sarebbe fatto fregare un’altra volta.
Infatti, alle sei di sera bussarono al citofono di casa. Andò ad aprire. Era Palombi che varcò il cancello con la vettura.
Palmieri prese la torcia elettrica, ripose la pistola nella fondina che aveva a tracollo e gli andò incontro.
Grazie di essere venuto fece all'amico.
"Figurati" rispose "ma sono sempre meno convinto di ciò che stai facendo. Ti è andata bene una volta, non sempre potrà essere così".
Il professore si sedette sul sedile posteriore distendendosi. Poi lo tranquillizzò: Non ti preoccupare, ho preso le mie contromisure. Adesso tu allontanati da casa mia.
Ho l'impressione che ci siano due poliziotti a pedinarmi. Cerca di superarli senza insospettirli. La loro macchina è parcheggiata sul viale di fronte casa
.
"Sarà fatto" replicò Palombi facendo marcia indietro e guadagnando l'uscita. La macchina prese la strada che conduceva al centro e superò quella sospetta.
I due uomini si affacciarono dal finestrino, la scrutarono, ma poi non si mossero dalle loro postazioni. Siamo stati fortunati disse Palombi una volta fuori dalla loro vista. Mi hanno guardato, ma sono rimasti fermi.
Penso che non se ne siano accorti".
I due si diressero verso casa dell’architetto. Palombi si accostò al marciapiede e scese. Palmieri si spostò al posto di guida. Grazie di tutto gli disse.
"Non c’è di che, ma sicuro che non vuoi essere accompagnato?"
Non ti preoccupare, ho già fatto parecchi casini, meglio che vada solo. Me la caverò. E poi con la pistola mi sento più tranquillo. Ti riconsegno la macchina il prima possibile.
Così dicendo ingranò la marcia e, dopo averlo salutato, si diresse verso il punto indicato dalla mappa.
Lascò la città imboccando la strada provinciale. Proseguì per alcuni chilometri fin quando si immise in un viadotto alberato. Aveva studiato bene il percorso.
Gli era impresso nella sua mente come una fotografia.
Il sole al tramonto colorava di rosso porpora il paesaggio. Il viadotto si inerpicava verso la collina.
Palmieri vedeva sempre più vicino le sagome frastagliate degli alberi. La strada, a un tratto, si fece sterrata.
La macchina iniziò a saltellare tra le dune, mettendo a dura prova i reni del professore.
Dopo pochi chilometri, tuttavia, si dovette arrestare allorquando trovò di fronte a sé una catena, sospesa tra due piloni, che interrompeva il tragitto.
Dietro la catena il tragitto si perdeva in una fosca radura che l’avanzare della sera rendeva sempre più cupa. Palmieri maledisse quell’inconveniente.
Poi, rassegnato, spense il motore della vettura deciso a proseguire a piedi. Si mise in marcia.
Superò una casa diroccata risalendo un pedio ripido che si inerpicava lungo la collina. Si ritrovò in mezzo a una radura estesa, ricca di vegetazione boschiva mista. Castagni, abeti, aceri, circondati da ampie fioriture di salici e piante erbacee ad alto fusto.
Alle spalle i verdi monti della Dormiente si innalzavano maestosi, incombendo sulla radura: il suggestivo stretto, dove, passando strozzato, il fiume Sabato gorgogliava, nell'azzurro sempre più cupo della sera rivelava un orrido fascino.
Si ricordò dei dipinti dei viaggiatori inglesi di primo '800, che fissavano la bellezza potente della natura, che affascina e insieme atterrisce. La suggestione del luogo era acuita dalla voce delle foglie scosse da una lieve brezza.
Capì, allora, perché gli antichi avessero deciso, con o senza prove, che quello, lo Stretto di Barba, fosse il luogo del raduno delle streghe.
Quale altro luogo sarebbe stato più idoneo?
Tra la vegetazione primeggiava un grosso noce secolare. Era quello disegnato nella cartina. Il professore lo individuò facilmente. 
Giunto di fronte al noce, notò alla sua destra una roccia calcarea, modellata in una forma particolare. Gli ricordava il volto di un ovino.
La parte centrale del masso aveva una forma allungata, alle due estremità due fasci rocciosi si proiettavano in avanti, come due corna. Il professore restò sbalordito. Quella roccia a forma di testa di capra doveva indicare qualcosa. Poggiava su un terreno friabile.
Per un attimo si rammaricò di non aver portato con sé la vanga. Avrebbe rimosso la terra a mani nude.
Si inginocchiò e iniziò a scavare una buca ai piedi di quella rupe. Pian piano la stanchezza si impossessò delle sue membra e solo il desiderio ossessivo di terminare la ricerca gli diede la forza per continuare a spostare i cumuli di terra.
La buca era diventata ampia e profonda. La pelle delle mani si stava lacerando, rivoli di sangue fuoriuscivano dalla cute secca e infangata. A un certo punto si arrestò.
Sentì qualcosa di duro al di sotto del terriccio. Tastò in superfice e si rese conto che, al di sotto, vi era sotterrato un oggetto. Rimosse la terra che lo ricopriva ed estrasse un baule. Lo ripulì con il fazzoletto e si mise in piedi ad ammirarlo.
Quello scrigno era fatto di avorio. Sulla superfice era intagliata una decorazione argentea.
Un'immagine di donna inginocchiata in preghiera davanti a una faccia bifronte. Lo scrigno presentava una fessura che avrebbe potuto combaciare con la chiave trovata nel corpo del Toro Apis, ma la chiave era stata rubata. Poco male!
Lo avrebbe forzato, non sembrava una cosa particolarmente ardua.
L'importante era però allontanarsi celermente dal quel posto, dal momento che la progressiva oscurità della notte lo aveva reso sempre meno scenografico e sempre più inquietante. Mentre si stava dirigendo a passo svelto verso la via del ritorno percepì un fruscio tra le foglie. Contemporaneamente un oggetto gli piombò tra i piedi. Lo osservò attentamente. Era la chiave nascosta nel Toro Apis.
Sollevò la testa verso i rami del noce e intravide un'ombra in piedi tra le fronde. Questa, con un balzo felino, si parò davanti a lui. Tacque pietrificato.
Cosa ci faceva in quel posto? Perché era lì? Era forse interessato anche lui a quel mistero?
Lepore bussò sul vetro della macchina. Vide i due colleghi appisolati.
Urlò: "Idioti, è questo il modo di controllare un individuo?"
I due si svegliarono di soprassalto. "Se lo racconto a Tranquilli vi fa licenziare".
I poliziotti in borghese si ripresero dallo spavento e uscirono dalla macchina ancora intontiti. "Maresciallo, siamo appostati da oggi pomeriggio. Verso le diciotto, è salita una macchina. E' entrata nel cancello".
"Una macchina avete detto? Avete segnato il modello e il numero di targa?"
"Certamente", risposero all’unisono i due gendarmi.
"Ha lasciato l'abitazione dopo quaranta minuti. Il conducente era solo".
"Bene", continuò Lepore "andiamo a trovare il professore, ho da fargli altre domande. Voglio vedere se anche stasera ha voglia di uscire".
I poliziotti entrarono in macchina, la misero in moto e si diressero verso l'abitazione del Palmieri. Fuori era tutto spento. Lepore scese dalla macchina e citofonò. Invano. Riprovò senza esito.
Poi, in barba a qualsiasi violazione di domicilio, decise di scavalcare il cancello e perlustrare l'interno della casa.
In fondo, aveva anche il timore che gli potesse essere successo qualcosa. Scavalcò il cancello e si avvicinò alle finestre del salone. Era tutto spento.
Anche ai piani superiori non vi era alcuna illuminazione. Si preoccupò.
Decise di scassinare la finestra appena riparata per andare a perlustrare l'interno della casa. Non fu difficile per un poliziotto della sua esperienza forzarla. Entrò nel salone. Rovistò tutta la casa. Di Palmieri non vi era traccia.
Si rasserenò di non averlo trovato imbavagliato o addirittura privo di vita. Stava per uscire quando buttò l'occhiò su un foglio piegato in due, riposto sopra la scrivania dello studio.
Lo aprì e lesse ciò che vi era scritto: Se state leggendo questa missiva, significa che mi è successo qualcosa di grave, forse sono addirittura morto. Se è così, chiedete all'avvocato Vincente o al signor Luongo dove venirmi a cercare.
E' stata la mia sete di curiosità a mettermi in pericolo. Sono incappato in un gioco più forte di me. Ma ne valeva la pena.
Il libro De magicis artibus et veneficiis mi ha colpito fin dall'inizio. Cambiandomi la vita. Ha risvegliato la mia mentalità adolescenziale e con essa l’istinto materiale di poter un giorno diventare ricco e felice.
Purtroppo non avevo fatto i conti con chi, come me, aveva le stesse ambizioni. Mi ha perseguitato e, alla fine, ha vinto lui. Un ultimo saluto va a mia figlia Giulia.
Ti ho sempre voluto bene. Ho fatto tutto questo per te. Ti proteggerò dall'alto. E scusami se non ho mantenuto la promessa. Ti voglio bene. Papà
.
Lepore ripiegò la busta e la pose nuovamente sulla scrivania. Si avvicinò al balcone e si accese una sigaretta. Fece tre boccate e la buttò. Ritornò dai suoi colleghi. Era furioso.
Si accostò alla macchina, sollevò il capo e disse: "L'ho cercato in tutte le stanze, ma non è in casa. Ha lasciato una lettera sul tavolo. Forse si è cacciato in qualche guaio. Meglio che chiami il commissario.
Dall'altro capo del telefono il commissario, edotto sull'accaduto, si adirò molto: "Quei due poliziotti avranno una nota di demerito. Mi ero raccomandato affinché il professore non venisse perso d'occhio.
E, invece, se la sono fatta fare sotto il naso.
A vote mi chiedo se non abbiano ragione a dileggiare le forze dell'ordine".
"Commissario", replicò Lepore, "sono i nostri uomini migliori. Il professore è stato più scaltro perché ha premeditato la fuga, servendosi sicuramente di un complice".
"Me lo sarei dovuto immaginare. Ettore non è tipo da tirarsi indietro. Ma a cacciarsi nei guai è fin troppo bravo.
Così come ha fatto la moglie trent’anni fa. E quello che oggi ho scoperto mi lascia basito.
La scomparsa di Maria coincide con quella della vecchia droghiera di cui mi parlava Ettore, nelle sue fantasticherie.
Un'altra strana coincidenza di cui ancora non mi capacito. Io non so se le due sparizioni siano collegate tra di loro".
"E se fosse stata la vecchia a uccidere la moglie e poi sparire dopo la malefatta?" insinuò Lepore.
"Scopriremo anche questo. Intanto dammi le generalità della macchina uscita dalla villa di Ettore. Devo risalire al suo proprietario".
Il professore, stupefatto, stava per impugnare la pistola quando il bibliotecario interruppe il silenzio: "Finalmente siamo alla resa dei conti, professore! Ho molte cose da dirle. Forse non le capirà, ma è giusto che le racconti.
Ho premiato la sua perspicacia fin da quando è riuscito a ritrovare il libro De magicis artibus et veneficiis.
Quel libro è un testo maledetto, non avrebbe mai dovuto cercarlo.
Speravo che una volta ricuperato si sarebbe limitato a leggerlo come i pochi altri che l'hanno fatto. Invece mi sbagliavo. Lei era il prescelto e doveva andare oltre".
Il professore lo guardò perplesso. Il prescelto? Ma cosa sta dicendo? Lei farnetica parole senza senso. Nessuno mi ha commissionato la ricerca del libro, se non la mia sete di conoscenza.
"O di potere", rispose l'altro bloccando il discorso.
"Cosa sperava di ricevere dopo aver ritrovato il talismano? Felicità? Ricchezza? Tutte sciocchezze. Non esiste la formula della felicità".
Allora perché vuole fermarmi se ritiene la mia ricerca senza senso?
"Al contrario, la sua ricerca è pericolosissima. Per questo ho provato a rubarle il testo scassinando la finestra della sua abitazione, ma è stato bravo a mettermi in fuga. Non avevo pensato che potesse essere armato.
Sapevo dove era nascosta la seconda mappa e l'ho seguita fin dentro il Teatro. Fui costretto a tramortirla per ricuperare la cartina, ma grande fu la mia sorpresa quando vidi che era stata trafugata.
Evidentemente da qualcuno che, conoscendo il nostro segreto, l'aveva rubata prima di lei per sostituirla con un falso indizio.
Mi limitai, pertanto, a riprendermi la chiave, e anche in questo caso, mio malgrado, ho dovuto fare del male a una persona. E da allora la sto aspettando. Immaginavo che prima o poi sarebbe venuto. Ora dobbiamo chiudere il gioco.
Palmieri dopo una prima esitazione rispose: Allora è stato lei ad aggredirmi dentro casa! Non ho mai capito il motivo di quella intrusione notturna. Mi insospettì il fatto che non fosse stato trafugato alcun oggetto di valore. E ne ho esposti tanti. Però lei non è mai stato tra i miei sospetti, anche perché mi disse, mentendomi, di non essere a conoscenza del libro.
Dopo l'aggressione dell’altra notte in Teatro ho ricollegato tutta la vicenda. Continuo a non capire perché mi ha aspettato, se sapeva già tutto.

"La verità è stata volutamente travisata da qualcuno. Il mio compito è quello di proteggere l'oggetto sacro riposto in quel baule. Esso racchiude il talismano, creato per un antico rituale, a salvaguardia dei più preziosi tesori della nostra terra.
Ma appartiene ad essa e qui deve restare".
Palmieri aggrottò la fronte. Parve non capire. Il librario continuò: "Tempo addietro questa terra fu devastata da carestie, malattie, guerre. La popolazione si decimò. Era stata la vendetta del diavolo dovuta alla sottomissione degli uomini alla Chiesa. Le donne del villaggio, con un rituale magico, unirono le loro forze e riuscirono a sconfiggerlo, intrappolando il suo spirito nel talismano, precedentemente forgiato con il loro oro e il loro stesso sangue.
Rinchiusero il talismano nello scrigno che ha tra le mani, seppellendolo in questo posto sicuro. In questo modo si liberarono della sua presenza e dei malefici da lui prodotti.
Ma il demonio non può essere distrutto per sempre.
All'epoca i suoi fedeli seguaci iniziarono a perseguitare quelle donne, facendo pagare con la vita il loro atto d’amore per la propria terra.
La maggior parte di esse, oppresse da un cardinale sadico e fanatico, tal Anselmo Guia, finirono tutte sul rogo con l’accusa di stregoneria".
Anselmo Guia? lo interruppe il professore. Non ho mai creduto alla sua esistenza, pensavo fosse il frutto di una delle tante leggende popolari, tramandate negli anni. Ho letto qualche testo antico in cui era riportata la sua ferocia, soprattutto nei confronti delle donne, ma erano tutti saggi apocrifi. Come avrebbe potuto un uomo di Chiesa votarsi al male assoluto?
"Ebbene tutto ciò che ha letto corrisponde al vero. Il prelato era una persona disturbata, accecato dalla misoginia e dalla brama di potere, tanto che fece uccidere la sua amata, ritenuta da lui stesso una strega. Si chiamava Linda.
La donna faceva parte di quel gruppo di martiri che riuscì a imprigionare il demonio, contribuendo con il suo sacrificio alla salvezza di tutti.
Lei stessa, conoscendo la forza e il coraggio dei miei avi, prima di essere imprigionata, sapendo del pericolo che correva, nonostante fosse l’amante del cardinale, pregò la mia stirpe e gli altri custodi del segreto, sopravvissuti alle angherie del prelato, di proteggere il talismano. Così facemmo.  Da allora la terrà rifiorì. Cessarono povertà e decessi. La popolazione tornò a essere ricca e felice.
E ancora oggi noi viviamo i benefici di questa azione. La città ha sempre vissuto periodi di pace, a cavallo tra le due guerre.
Neanche un bombardamento, nessuna casa abbattuta, alcun morto o ferito. La nostra gente è stata sempre protetta da calamità naturali come alluvioni o terremoti che in altri luoghi hanno prodotto distruzione e morte.
Tuttavia, la lotta tra il bene e il male non si è conclusa. Il diavolo è sempre in agguato. Per lui il tempo non esiste".
Palmieri fece una risata di incredulità: Lei mi sta dicendo che il benessere della nostra terra è legato al sacrificio di alcune donne? Di questa Linda amante di un cardinale folle? Come se le calamità naturali dipendessero da una forza demonica, piuttosto che dall'ineluttabilità del fato. E io che parte avrei avuto in questa storia?
"Gli accoliti del demonio, per viltà, non hanno mai avuto il coraggio di affrontare la mia gente. Chi ha osato è stato sconfitto senza pietà. Per questo hanno escogitato un piano criminale.
Sapendo dove il talismano fosse nascosto, scrissero la sua storia e il luogo dove era occultato nel libro che ha ritrovato, falsificandone fraudolentemente il significato.
Lo scopo era di individuare un prescelto, coraggioso e determinato che, con la lettura del libro, si sarebbe convinto a ricercare l'oggetto per goderne i frutti dei suoi stessi poteri, mendacemente descritti nella leggenda.
Una persona insospettabile e inconsapevole di tutto, alla quale affidare il loro piano. Al resto avrebbe pensato il diavolo.
Manipolando la mente del prescelto con la sua astuzia, tentandolo con i suoi influssi. Noi riuscimmo a recuperare parecchie copie del manoscritto e distruggerle. Ma loro non si arresero.
Piuttosto che pubblicarne altre, decisero di far stampare l'ultima copia alla famiglia Nacci, affidandone anche la custodia stessa.
Poi crearono prove dell’esistenza del libro, per evitare che la ricerca finisse nell'oblio. Uno dei seguaci del diavolo, il litografo Oberdan Principe, un fanatico militare, lo riprodusse in numerose stampe, edite dalla stessa famiglia Nacci.
In cambio dei suoi servigi sperava di ottenere dal demonio una giusta ricompensa. Aspettava che un prescelto seguisse le sue indicazioni per recuperarlo.
Purtroppo per lui morì in guerra, fucilato dai nemici. Io riuscii a recuperare una litografia, ma non sapevo il significato che celava.
Nel frattempo, però, la droghiera Artemisia, altra sostenitrice del male, individuò in lei il predestinato. Le raccontò storie che le rimasero impresse nella mente. Lei è cresciuto con i suoi insegnamenti.
Da adulto, giunto il momento di agire, l'influsso del demonio ha fatto gioco forza, condizionando le sue azioni".
Palmieri scosse la testa con segno di disapprovazione: "La droghiera di cui parla raccontava storie di leggende a tutti i bambini del rione. Non me la ricordo come un essere spregevole. Al contrario. Ho di lei un piacevole ricordo. Ma quando sono andato a ritrovarla ho conosciuto la nipote la quale mi ha riferito che la zia era morta parecchi anni or sono".
Sa che fine ha fatto la nipote?
"E' morta anche lei".
"Appunto, ha fatto la stessa fine della zia, perché questo si meritavano. Una donna, legata a lei sentimentalmente, custode del nostro segreto, affrontò trent’anni fa la droghiera. Perirono entrambe. Di loro non si seppe più nulla. Quella donna era sua moglie.
Riuscita a risalire all'inganno cercò di recuperare il libro. Purtroppo non feci in tempo a salvarla".
A quelle parole il professore sbiancò come un cencio, barcollando dall'emozione. Il nome della moglie gli rimbombò nella mente come un colpo di cannone.
Il bibliotecario continuò: "Fu un caso, oppure la volontà divina, ma deve sapere che Maria condivideva con noi il segreto del talismano. Quando seppe che il proprio marito era il prescelto, riuscì a individuare la fonte delle sue suggestioni per cercare di annientarla".
Palmieri tremava come una foglia. Con un filo di voce, balbettando, gli vennero in mente i ricordi passati e tutto fu più chiaro. In effetti, parecchi anni fa, ricominciai a sognare la storia del talismano. Gliene parlai. Le raccontai della droghiera e di quando la commerciante si rivolgeva a noi bambini con le sue storie. Le dissi che mi avevano impressionato e che mi avrebbe fatto piacere approfondire quelle leggende. Lei mi liquidò affermando di non dare peso a stupidi racconti adolescenziali. Ero cresciuto e dovevo badare ad altro.
Il libraio, dopo aver ascoltato le confidenze del professore, aggiunse: "Vede, tutto torna. Sua moglie capì che la droghiera era una seguace del diavolo e l'affrontò. Fu un combattimento truce.
Quando arrivai Artemisia l'aveva già uccisa, grazie all'arte dell'occulto di cui era a conoscenza.
Mi scagliai contrò di lei con tutta la rabbia possibile. Contro di me la sua magia non sortì alcun effetto. Senza pietà vendicai il gesto eroico di Maria".
Per Palmieri quel racconto apriva una ferita mai cicatrizzata. Non voleva credere a quanto raccontato dal bibliotecario. Quindi mi sta dicendo che vendicò mia moglie, uccidendo la sua carnefice. Dove ha nascosto il suo corpo?
"La seppellii nel cimitero dei custodi, sotto i bassorilievi del Teatro dove era nascosta la pergamena. I cadaveri delle donne dovevano sparire, non si poteva dare risalto a tutto ciò. E io dovevo tornare a fare il mio lavoro senza alcun sospetto da parte degli altri.
Per questo non le dissi nulla. I miei compagni pensarono a far scomparire il corpo della droghiera. Non l'hanno mai più trovato. La scomparsa di Artemisia passò in secondo ordine nelle cronache di allora. I giornali diedero più peso alla misteriosa sparizione della signora Palmieri.” Il professore si adirò: Maledetti, è una vita che non mi sto dando pace, senza darmi una spiegazione possibile del perché della sua sparizione. Ho subito anche pesanti dileggi, ingurgitando con dolore tutte le insinuazioni che vennero fuori. E lei mi sta rivelando che sapeva tutto. E ha taciuto per non essere scoperto
"Mi dispiace professore di averla tenuta all’oscuro in tutti questi anni. Non volevo arrecarle dolore. Ma nello stesso tempo non potevo fare diversamente, Il tempo avrebbe chiarito tutto. Il resto è storia recente.
L'avvocato Coluccio ebbe il libro tra le mani per molti anni, fu tentato dal diavolo ma, piuttosto che cedere alle sue brame, preferì la morte.
Si suicidò dopo aver consegnato l'eredità a Napolitano. Lei è riuscito, instradato dalla nipote di Artemisia, a ritrovare per caso la litografia, capirne il significato e, grazie all'aiuto del commissario Tranquilli, arrivare fino al possessore del libro.
Il dottore Napolitano, unico erede dei Nacci, non era a conoscenza del segreto. Ecco perché ha acconsentito a prestarvelo senza esitazione.
Ora ci troviamo l'uno di fronte all'altro: Io sono l'ultimo guardiano del talismano e non posso permettere che i seguaci del demonio portino a termine il loro progetto".
Il professore lo aveva ascoltato in silenzio. Dopodiché rispose: Questa storia ha dell’assurdo. Sembra essere stata partorita dalla mente di un poeta ubriaco. Ma ammesso pure che abbia un qualche fondo di verità, cosa succederebbe se qualcuno avesse intenzione di rubarselo e ci riuscisse?
"Leggendo al contrario la scritta incisa sul retro del talismano lo spirito del diavolo verrà liberato e potrà nuovamente perpetrare i suoi malefici. Nemil tisnart non satsetop cnun.
Sarebbe la nostra fine. Senza più impedimenti, gli animali si ammaleranno improvvisamente, uomini e donne non saranno più fecondi, i bambini si ritroveranno senza più voce.
La peste nera inizierà a mietere nuovamente vittime. Si verificheranno altre calamità. Il talismano è il solo antidoto a tutto questo.
Sarebbe la fine di tutto se venisse profanato. Ma io e chi mi seguirà non permetteremo tutto questo".
Palmieri lo riprese ironico: Io non credo a tutto ciò. Il diavolo, la fine della nostra terra, addirittura il teatro romano, cimitero dei custodi del talismano. Dove sarebbe seppellita mia moglie!  Lei mi sembra un millantatore. Faccio fatica a crederle. Per quanto ne sappia, ha sempre fatto il bibliotecario, così anche suo padre. Non ero a conoscenza dei vostri poteri divinatori. Tra l’altro non mi sembra che abbiate origini guerriere.
Il bibliotecario lo guardò con sufficienza: "Immaginavo che non mi avrebbe creduto".
Poi si girò verso la luna, distese le braccia e allargò le gambe. Si realizzò qualcosa di stupefacente. Il suo corpo cominciò a modificarsi assumendo una posizione curva.
I muscoli dell'addome si ingrossarono smembrando gli abiti che lo ricoprivano. Palmieri vide la pelle dell’uomo riempirsi di peli neri su tutto il corpo. Il volto si deformò allungandosi: due grosse fauci mostrarono una filiera di denti acuminati.
Quell'essere assunse una posizione canina. Le braccia e le gambe si trasformarono in zampe con artigli. Una coda pelosa fuoriuscì posteriormente.
L'animale emise un urlo terrificante che squarciò il silenzio della notte. Palmieri indietreggiò tremante. Cadde in terra. Non riusciva a parlare. Era terrorizzato. Davanti a lui si era palesata una figura mitologica, un lupo antropomorfo.
La bestia girò su sé stessa e gli parlò: "Lei è un uomo di cultura ma anche di onore. La chiave che le ho lanciato apre il cofanetto. Queste sono le mie vere sembianze. Siamo il popolo dei licantropi, per secoli abbiamo custodito e protetto il talismano.
Il male fino a oggi non ha potuto niente contro la nostra forza. Le darò l'onore di vederlo, se lo merita. Non abbia timore. Ora che è a conoscenza del segreto in esso riposto, non liberi nuovamente il demonio.
Appena la curiosità sarà soddisfatta, lo riponga nuovamente nello scrigno e lo sotterri. Non racconti a nessuno questa storia.
Non permetta a nessuno di tornare in questo posto. Condivida con me la custodia del talismano. Io gliene sarò grato".
Così dicendo si rigirò verso la foresta e iniziò a correre, perdendosi tra le foglie dei boschi.
Il professore era ancora scioccato, a malapena riusciva a sorreggersi. Si fece forza e, aggrappandosi al noce, recuperò la chiave dello scrigno. La mise nella toppa e lo aprì. Una luce accecante lo investì.
Era talmente forte che dovette chiudere gli occhi e allontanare il cofanetto.
Ripresosi dall'abbaglio provò di nuovo a guardare all'interno. Per un attimo fu tentato di prenderlo tra le mani e leggerne l’incisione. Nemil tisnart non satsetop cnun, Nemil tisnart non satsetop cnun. Nemil tisnart non satsetop cnun.
La frase si impresse nella mente come un film. Era l'ultimo tentativo del demonio di influenzare il prescelto.
Nuovamente le parole del licantropo rimbombarono nell'oscurità.
Per un attimo rivide la moglie e ripensò al coraggio che aveva mostrato pur di salvare la propria terra. Non ebbe più esitazioni. Riguardò l'amuleto. Esso risplendeva nell'oscurità. Un oggetto divino. Non lo toccò. Lo richiuse il baule e lo sotterrò nuovamente.
Si avviò alla macchina ancora stravolto e incredulo. Giunto in prossimità dell'utilitaria vide un'altra autovettura che imboccava il viale alberato. Non provò neanche a nascondersi. Il veicolo lo abbagliò da lontano fermandosi prima che la strada si sterrasse.
Dalla macchina scese l'amico commissario. Vedendolo venirgli incontro il professore si rasserenò.
Tranquilli si avvicinò a lui con aria di rimprovero: "Come al solito hai voluto fare di testa tua e non mi hai dato retta. Ma come vedi sono anch'io giunto allo Stretto di Barba.
Non prima di avere parlato con l'architetto Palombi. Lui mi ha raccontato tutta la faccenda, dopo avergli esposto il pericolo a cui andavi incontro".
Ben fatto rispose il professore, senza provare a difendere la sua posizione, però ti devo dire che la mia ricerca non mi ha portato a nulla. Le mie convinzioni sono sbagliate. Qui non è nascosto alcun talismano.
Tranquilli disse severo: "Talismano o non talismano, in questa storia, vera o leggendaria che sia, ci sono andate di mezzo parecchie vite umane.
La droghiera, l'esecutore testamentario che custodiva il libro. E poi, la vuoi sapere un'altra cosa?
Ho scoperto nell'archivio delle persone scomparse che una tal Artemisia Petruzziello scomparve lo stesso giorno di tua moglie. Non ti sembra tutto così strano?"
Per la seconda volta veniva nominata Maria. Gli salì il magone. Bruno aveva raccontato la verità. Prese coraggio e tenne fede alla raccomandazione del bibliotecario.
Claudio sono tutte coincidenze. La droghiera, come sospettavi, sarà stata azzannata da qualche animale randagio, l'avvocato Coluccio avrà avuto le sue motivazioni per suicidarsi, neanche le conosciamo.
In quanto a mia moglie, io continuo a sperare un giorno di incontrarla. Fin quando non la ritroverò, viva o morta, per quanto mi riguarda lei è ancora presente su questa terra
.
"Non scherzare" si affrettò a rispondere Tranquilli, "lo sappiamo tutti e due che è morta, probabilmente in circostanza tragiche. Non farà mai più ritorno".
Vedendo l'espressione dell’amico si pentì subito di quella infelice affermazione.
Gli posò una mano sulle spalle e aggiunse: "Mi dispiace di essere stato così insensibile. Non ho riflettuto su quello che dicevo e ti ho ferito. Il fatto è che sono ancora arrabbiato con te. Spero che un giorno tu la possa rincontrare.
Però io adesso posso fare qualcosa per te".
Ciò detto si girò verso la macchina facendo cenno alla persona seduta al suo interno di uscire. Palmieri nella penombra riconobbe i lineamenti di Giulia.
Tranquilli precisò: "Tua figlia mi ha chiamato allarmata dopo la vostra ultima telefonata, dicendo di avere paura per te. Le avevo appena raccontato la storia della scomparsa della droghiera e della madre.
Così la invitai a raggiungermi in questura. Lei si è messa in macchina ed è ritornata in città. Mi ha accompagnato da Palombi ed è voluta venire con me fin qua. Era preoccupata".
Palmieri non sembrò ascoltarlo. Corse verso Giulia. Padre e figlia si fermarono l'uno di fronte all'altra, commossi.
Poi la tensione lasciò il posto alla dolcezza e i due si sciolsero in un lungo abbraccio.
"Grazie per essere venuta da me", disse alla figlia commosso.
"Ero preoccupata per te, non potevo lasciarti solo. Quando questa storia sarà finita, ti porto via con me".
Questa storia è finita, rispose il professore categorico. Il commissario si avvicinò alla famiglia. L'unica cosa bella di questa vicenda è essermi riavvicinato a mia figlia. Grazie anche a te per tutto questo.
Lo prese sotto braccio stringendogli la mano in segno di profonda gratitudine, poi invitò Giulia ad accompagnarlo alla macchina. Prima di lasciarli soli Tranquilli fece un’ultima osservazione: "Eppure ci sono ancora dei lati oscuri in questa vicenda.
Se il talismano di cui mi hai parlato è esistito solo nella leggenda che lo racconta, chi vi ha aggredito l’altra notte al Teatro Romano? Quale era il loro scopo?"
Questo sta a te scoprirlo, sei o non sei il miglior commissario che abbia mai conosciuto?
Mentre si incamminavano verso la macchina Giulia domandò cosa si fossero detti lui e Tranquilli, dal momento che il commissario l’aveva pregata di aspettarlo in macchina fin quando non si fossero chiariti.
Il padre, per nulla sorpreso dall'atteggiamento dell'amico, rispose senza esitazione: Ora entriamo in macchina, rispose il professore, ti racconterò tutta la verità. Così capirai che donna in gamba è stata tua madre.
Ciò detto, le aprì lo sportello facendola accomodare dentro.
Si stava dirigendo dal lato del guidatore quando, per un attimo, gli parve di udire voci di donne provenienti dall'oscurità.
Sembrava un tenue canto di preghiera. Forse era solo stanchezza. Rivolse gli occhi al cielo. E fu in quel momento che avvertì sussurri di benedizione.

comunicato n.173003



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