Benevento, 01-09-2024 09:45 |
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Maria Luisa Palmieri era un personaggio del vecchio Ospedale "Rummo" che attraeva e che non passava inosservato, ricorda Peppino De Lorenzo
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Nostro servizio |
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Nel ricordare, puntualmente nelle ultime domeniche, medici ospedalieri e del territorio, Peppino De Lorenzo intende, ed a ragione, rivolgere l'attenzione anche a quanti, pure se rivestendo altri ruoli, nel tempo, hanno offerto il proprio contributo per una sanità più efficiente e funzionale.
E' il caso, oggi, di ricordare Maria Luisa Palmieri, dipendente amministrativa del "Rummo".
"Di Maria Luisa Palmieri (nella foto di apertura), per noi tutti, in ospedale, signora Luisa, anche se brevemente, ebbi modo di scrivere nel momento della scomparsa, avvenuta nel mese di agosto 2022, ad 81 anni di età.
Nel tempo in cui operò al "Rummo", senza, è ovvio, nulla togliere ai tempi attuali, si viveva come in una grande famiglia, e la signora Luisa si distinse in ogni azione fors'anche per le sue particolari doti caratteriali (nella prima foto in basso, la medaglia offertale dai colleghi).
Sono convinto che, ancora oggi, saranno in tanti, tra medici, operatori sanitari ed amministrativi, a ricordarla con affetto mai sopito.
Aveva frequentato il Liceo Scientifico "Gaetano Rummo" ed era stata allieva di mio padre.
In quel tempo, diversamente da oggi, il numero delle donne, in ogni classe, era di gran lunga inferiore a quello degli uomini.
Il ricordo degli anni scolastici era rimasto sempre vivo e presente in lei al punto che, quando, poi, ci trovammo in ospedale, io rimasi sempre il figlio del professore.
Aveva una bella casa in pieno centro storico, a via Madonnelle.
Al "Rummo", il suo ufficio era stato ricavato in un angolo ed era sì, di modeste dimensioni, ma le permetteva, comunque, di osservare il passaggio di tutti (nella seconda foto in basso, ancora Maria Luisa Palmieri).
In definitiva, avendo, per abitudine, la porta sempre aperta, si era costretti, ma piacevolmente, a fermarsi.
L'interlocutore veniva così attratto dal suo eloquio fluente e dai giudizi, senza peli sulla lingua, su coloro che, a suo parere, non svolgevano, con abnegazione, il compito affidato.
Era, dunque, un personaggio, uno di quei personaggi che attraeva e che non passava inosservato (nella terza foto in basso, Palmieri al centro, sulla destra, si scorgono l'oculista Giovanni Ferrannini e l'urologo Nicola Liuzzi).
Tra l'altro, le era stato affidato un compito molto particolare e delicato, quello, con precisione, di accettare, prima del protocollo di rito, ogni pratica legata a concorsi cui dovevano partecipare medici ed infermieri.
Lei, però, forte e sicura della sua preparazione in materia, non si limitava alla sola accettazione, ma esaminava, rigo per rigo, il contenuto delle pratiche e, in ultimo, consigliava eventuali correzioni da porre in essere.
Non erano poche le volte in cui, a ragione, giudicava opportuni dei correttivi.
Gli anni, poi, giorno dopo giorno, trascorsero ed entrambi, anche se in periodi diversi, lasciammo il "Rummo" (nella quarta foto in basso, Palmieri, a destra, con una sua amica).
Il caso volle che, un giorno, non molti anni fa, accompagnata dalla figlia Vincenza De Rienzo, insegnante e donna di una particolare dolcezza, dal tratto garbato, la vidi comparire, d'improvviso, nel mio studio, per il presentarsi di alcuni disturbi.
Malgrado avesse smarrito la lucidità di un tempo, ricordò, anche se a tratti, gli anni trascorsi insieme nel nosocomio cittadino.
Non nascondo che, senza volerlo, mentre la invitavo a parlare, contemporaneamente, emergevano, con prepotenza, dai cassettini della mia memoria, i tanti discorsi intessuti con lei, la sua garbata ironia, il suo gioioso menefreghismo al cospetto di chi, talvolta, protetto dal politico di turno, in ospedale, si credeva onnipotente. Tuttavia, in quegli istanti, rivedevo quella donna libera che era sempre stata, senza lacci e lacciuoli.
La malattia, malgrado le cure attente ed assidue, pian piano, divenne sempre più insidiosa. Al cospetto di una persona, sempre conosciuta forte e volitiva, osservare il sopravvento di un disturbo cognitivo, c'è sempre, anche nel medico, un momento di stupore e spavento. E' un istante terribile in cui ci si accorge che gli occhi del paziente non siano più i suoi, ma due cavità abissali in cui si raccoglie tutto quello che si è dimenticato.
Lì si sono sedimentate le parole, le promesse, i sogni, i giorni smarriti lungo il percorso.
Sono stato contento di averla seguita, con mia moglie, fino alla conclusione dei suoi giorni.
Andò via un pezzo importante, davvero importante, del "Rummo".
Di quelli che hanno scritto la storia dell'ospedale.
Tra i tanti ricordi che, gelosamente, serbo di lei, uno in particolare non mi abbandonerà mai.
Constatata, ogni volta, la mia perenne insicurezza nel momento in cui mi accingevo a presentare la documentazione per i concorsi da sostenere, quando decisi di lasciare la neurologia ed approdare in psichiatria, al mio ennesimo invito a rivedere la pratica, lei mi rassicurò a modo suo.
"Ora, mi disse, vai a fare in....".
Questo era il personaggio.
Difficile, ritengo, trovarne, allo stato, uno simile al "Rummo".
Oggi, sì, è vero, esiste garbo con distacco, imposta gentilezza nei modi, ventilata amicizia, però, mi sia concesso, l'amicizia vera, genuina, che non conosce l'oblio del tempo, non ha, di certo, il suo soverchio.
Cara ed indimenticabile signora Luisa, con affetto mai sopito, le porgo l'ultima carezza".
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