Benevento, 13-08-2024 11:02 |
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Non ci manca l'acqua quanto piuttosto ci mancano capacita' e volonta' di trattarla e gestirla come una risorsa fondamentale
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di Roberto Costanzo |
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E' da oltre settant'anni che, qui nel Sannio come in molte altre parti d'Italia, si lamenta periodicamente una grave crisi idrica: Oggi come ieri; ma domani cambierà?
Sì o No, dipende.
D'estate ne soffriamo la mancanza, in autunno-inverno ne subiamo gli eccessi, con i conseguenti danni.
L'acqua manca quando serve, ma eccede quando può danneggiarci.
Chi ha l'età per ricordare, può fare un confronto tra i disagi di oggi e quelli dei decenni decorsi, a cominciare dalla catastrofica alluvione del fiume Calore nell'ottobre 1949, che provocò l'allagamento dell'intero rione Ferrovia, a Benevento, con oltre tre metri di elevazione della piena sopra il ponte e lungo tutto il quartiere.
Va fatto anche un confronto tra i disagi di oggi e quelli subiti nell'estate del 1968 con la terribile secca del fiume, che mise in allarme non solo la città capoluogo.
Allora si tentò di porvi rimedio con la progettazione di tre invasi: uno sull'Ufita nei pressi di Apice, uno sul Tammaro a Campolattaro ed uno a Civitella Licinio sul Titerno.
Se ne fece solo uno, quello sul Tammaro, con la finalità di fermare l'acqua quando avrebbe potuto creare danni (nella foto un momento della tragica alluvione del 2015) e quindi raccoglierla per utilizzarla nei periodi estivi.
Oggi come ieri, i giornali dedicano intere pagine all'emergenza idrica; denunciano le reti colabrodo, ed i consumi troppo alti e quindi invocano, oggi come ieri, piani integrati per il contenimento, la raccolta, la equilibrata distribuzione di acqua.
Era, infatti, il 1969 quando al Comitato Regionale per la Programmazione Economica (Crpe) si parlò di un piano idrogeologico strategico per la Campania, al fine di garantire il governo delle acque sia quando abbondano che quando scarseggiano.
Facemmo circolare il motto di un noto economista dell'Ottocento, Giustino Fortunato, che diceva che "il Mezzogiorno ha sete di acqua e di giustizia".
E' quindi un problema di gestione, oggi come ieri: una gestione strategica a lungo raggio e per un lungo periodo, senza lasciarsi condizionare dalle emergenze e dai relativi interventi tampone.
Finora alla diga di Campolattaro è mancata una gestione strategica, pur attirando consistenti finanziamenti.
In questi ultimi giorni, abbiamo finalmente rilevato che una certa stampa, sebbene con un ritardo di tre anni rispetto a quello che qualcuno di noi aveva già denunciato, comincia a prendere atto che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) aveva destinato 750 milioni di euro alla diga di Campolattaro per far fronte però ad esigenze idriche di vario tipo ma in territori lontani dal Sannio; quindi soltanto oggi possiamo leggere che "l'Europa ha stanziato 120 milioni per la sete nel Sannio, appunto per risparmio idrico e lotta alla dispersione".
Questi 120 milioni forse non bastano per riparare tutti gli acquedotti comunali, comunque potrebbe essere un buon inizio. Speriamo che riguardino opere d'immediata esecuzione.
Le condotte idrauliche nel Sannio si trovano in una situazione quasi disastrosa, con una dispersione di oltre la metà dell'acqua trasportata.
Siamo una delle ultime province d’Italia in questo campo; ma il dato nazionale che più ci deve preoccupare è che nel 2021 si è registrato un investimento in campo idropotabile pari a trenta euro per abitante, contro una media europea di ottanta euro.
Altro dato impressionante è che il consumo pro capite in Italia è di 215 litri a testa al giorno, mentre il consumo medio in Europa è di 125 litri a persona: Consumiamo molto ed investiamo poco.
Nel 2005, soffermandomi sui problemi idrogeologici, avevo scritto che "le opere pubbliche di assetto e agibilità del suolo non sono determinanti se non comprendono innanzitutto programmi di regimazione anche di acque in caduta dai tetti e quelle piovute sui terreni agrari": Acque che non vanno disperse anche dopo averne fatto un uso positivo.
Difatti la creazione di drenaggi sotto i terreni irrigati non solo consente la raccolta della risorsa idrica dopo averne fatto un uso produttivo, ma al tempo stesso si evita che quell’acqua, lasciata scorrere senza controllo, possa procurare frane e smottamenti: Cioè evitare che una risorsa produttiva si trasformi in forza devastante non solo a danno di quel terreno privato ma per tutta l’area territoriale, quindi un danno pubblico.
Per questo, possiamo dire che i lavori di drenaggio sono "opere private d'interesse pubblico" e come tali andrebbero considerati e finanziati nei programmi regionali di miglioramenti fondiari.
Ci penserà un consigliere regionale a farne oggetto di una proposta di legge?
Opere private d'interesse pubblico...
Mi sono permesso di ricordare alcuni passaggi del secolo scorso, nella speranza che si cominci non tanto ad auspicare ma ad avviare interventi organici e strategici, nella convinzione che non ci manca l'acqua quanto piuttosto ci mancano capacità e volontà di trattarla e gestirla come una risorsa fondamentale, di cui abbiamo non solo un vitale bisogno ma anche ampia disponibilità.
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