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Benevento, 15-11-2025 09:49 ____
Ecco il nuovo adolescente tipo: Timido, impacciato, che alla mano tremante di una ragazza preferisce il vetro liscio del suo iPhone
Uno che per affrontare un'interrogazione ha bisogno non tanto dello studio, quanto di una rassicurazione via messaggio vocale da mamma. E che, quando si ritrova vittima di bullismo, spesso non reagisce perche' non ha gli amici, non ha la forza e non ha nemmeno una solida corazza emotiva scrive Luca De Lipsis a proposito di "Depressione e disagio sociale"
Nostro servizio
  

Siamo alla fine di questa fortunata rubrica, "Pillole di salute", voluta e condotta da Luca De Lipsis, medico e scrittore.
E' stata molto letta ed in tanti ci hanno hanno chiesto di sollecitare De Lipsis a proseguire questo suo "racconto" e questa sua collaborazione con "Gazzetta" che è cominciato con la pubblicazione, durante la scorsa estate, di racconti brevi e dunque anche con l'invito a leggere, invito non facile e che trova spesso motivi per essere disatteso, ma che è stato accolto con grande entusiasmo.
Vedremo cosa si potrà inventare ancora De Lipsis.
Noi lo seguiremo e gli diamo tutta la ospitalità che ci richiede.
Buona lettura con questa ennesima puntata sulla salute. 

                                 



                                                                         LA DEPRESSIONE ED IL DISAGIO SOCIALE


Abbiamo già parlato dei danni che uno smartphone può arrecare alla collettività, ma oggi vorrei approfondirne un aspetto: Il disagio sociale degli adolescenti post-2000.
Una fragilità silenziosa che giorno dopo giorno scava nella loro psiche, resa ancora più profonda dalla paura (molto reale) per un futuro incerto, da un clima economico familiare sempre più precario, dalla delinquenza giovanile in formato "trending", e da un progressivo impoverimento delle relazioni sociali, sostituite da cuoricini e chat di gruppo, mute come tombe.
Ed ecco il nuovo adolescente tipo: Timido, impacciato, con tratti sempre più "hikikomoriani", che alla mano tremante di una ragazza preferisce il vetro liscio del suo iPhone.
Uno che per affrontare un'interrogazione ha bisogno non tanto dello studio, quanto di una rassicurazione via messaggio vocale da mamma.
E che, quando si ritrova vittima di bullismo, spesso non reagisce: perché non ha gli amici, non ha la forza, e non ha nemmeno una solida corazza emotiva.
Le conseguenze, purtroppo, non sono solo poetiche o sociologiche. Sono tragicamente concrete.
Ragazzi che spariscono, non solo dai social ma dalla vita vera. Che scelgono il silenzio definitivo, perché nessuno li ha mai veramente ascoltati.
Lo Stato potrebbe trattare il disagio giovanile come una vera emergenza non come un capitolo a piè di bilancio, finanziando centri di aggregazione veri non solo app per prenotare l'aula studio.
Potrebbe insegnare educazione emotiva prima ancora di insegnare educazione civica. In attesa che queste speranze diventino realtà, rimbocchiamoci le maniche e attiviamo la mente per trovare insieme una soluzione concreta e condivisa, che possa davvero curare questa psiche ferita.
La terapia più rivoluzionaria?
Un campo estivo senza Wi-Fi, dove gli adolescenti riscoprono il contatto umano, il sudore condiviso in una partita a pallone e persino l’imbarazzo vero, quello che non si può cancellare con uno swipe.
Contro l’isolamento cronico da schermo, servirebbe un vaccino a base di ascolto attivo, genitori presenti e una dose quotidiana di amici veri, non follower.
Possibili effetti collaterali: risate spontanee, fiducia in sé e capacità di affrontare il mondo senza la supervisione di Siri.

Droghe e altre ludopatie

C'era una volta una gloriosa sala giochi, meta obbligata per l'intera cittadinanza giovanile, che si fermava lì non per meditare sul senso della vita, ma per sfidarsi a Street Fighter Mexico '86 o, per i più intraprendenti, a Streep Poker (con tre "e", probabilmente per dare un tocco internazionale al peccato).
Bastavano duecento lire, sì, proprio quelle che oggi non bastano nemmeno per una busta al supermercato per regalarsi tre minuti di puro brivido ludopatico, il tutto rigorosamente interrotto all'esaurirsi delle monetine trovate tra i cuscini del divano.
E poi tutti a casa, a studiare Dante o Petrarca, ché domani c'è il compito e il prof non scherza.
Ma gli anni passano, le lire spariscono, e anche quella cara sala giochi si trasforma... o meglio, viene rimpiazzata da sfarzose sale scommesse Bettee (che già dal nome suona come una promessa di debiti).
La vecchia, innocente schedina lascia il posto a touch screen ipnotici e bollette da mille combinazioni, dove il rischio non è solo perdere, ma anche capire cosa stai scommettendo.
E così si cade in tentazione, come Adamo ma con meno foglie di fico e più bollettini Sisal: si gioca giorno e notte, anche quando il conto piange lacrime di overdraft.
Le cifre volano ben oltre le proprie possibilitaà e intanto la mente si intossica, più della carbonara con panna.
Fenomeno in netto aumento anche nel Beneventano, dove, tra una falanghina e l'altra, si sfida la Dea Fortuna con la stessa foga con cui si affrontava l'interrogazione di greco dopo aver studiato su Bignami.
Affrontare la ludopatia non è una passeggiata, ma nemmeno una condanna eterna.
E' una dipendenza e come tutte le dipendenze, si può combattere. Serve volontà, ma anche supporto e, soprattutto, un po' di onestà con se stessi.
Il primo passo? Ammettere che c'è un problema. Se il pensiero del gioco è sempre lì, se i soldi finiscono misteriosamente appena arriva lo stipendio, se le bugie diventano routine... allora forse è il momento di dire basta.
Niente drammi da film, ma un bel "ok, qui c'è qualcosa che non va" può essere già una mezza rivoluzione.
Parlarne è fondamentale. Con un amico, con un familiare, con qualcuno che ascolta senza giudicare. Il silenzio è il miglior alleato del problema, quindi spezzarlo è già un colpo basso alla dipendenza.
A quel punto, farsi aiutare da un professionista non è debolezza, ma buon senso.
Psicologi, centri specializzati, servizi pubblici: c'è chi ha studiato apposta per dare una mano in queste situazioni. E non serve andare in pellegrinaggio: Basta spesso rivolgersi alla Asl o a uno dei tanti servizi dedicati, anche gratuitamente.
Poi c'è il lato pratico: Se il gioco è più forte del portafoglio, forse è il caso di mettere qualche barriera.
Bloccare l'accesso ai siti, affidare le carte a una persona fidata, mettere dei limiti. Non è punizione, è autodifesa.
Anche internet può diventare un alleato, se usato bene. Ci sono strumenti per auto-escludersi dai siti di scommesse, programmi per bloccare app, forum dove confrontarsi. Meglio leggere un articolo in più che una bolletta perdente in più.
E no, non basta "smettere di giocare": serve anche riempire quel vuoto.
Fare sport, riscoprire un hobby, persino diventare esperti di uncinetto o sudoku può aiutare.
L'importante è sostituire l'impulso con qualcosa che non prosciughi l'anima (e il conto).
Infine, niente panico se ogni tanto si cade. Le ricadute fanno parte del percorso.
Quel che conta è rialzarsi, non fare finta di niente.
Il percorso non è lineare, ma porta in una direzione: Libertà.

comunicato n.174328




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