L'approvazione della riforma Costituzionale sulla separazione delle carriere in magistratura non sembra idonea a produrre ansie di tipo costituzionale
La prossima campagna referendaria sia indirizzata sui soli binari del puro gradimento politico, senza scomodare il tema forte e socialmente divisivo della difesa della Costituzione. Un'ennesima sfida al senso etico di responsabilita' del sistema politico
di Vincenzo Baldini, docente di Diritto Costituzionale
Il 30 ottobre scorso, il Disegno di Legge (Ddl) costituzionale di riforma della magistratura, con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti il Senato, ha superato anche l'ultimo vaglio parlamentare ed è diventato, così, legge costituzionale.
Una legge costituzionale perfetta ma non ancora efficace, poiché dalle minoranze parlamentari è stata già esercitata l'iniziativa del referendum confermativo, ex articolo 138 Costituzione.
Spetterà pertanto al corpo elettorale dire l'ultima parola sulla riforma, intanto, nella comunità statale cominciano già a nascere i primi Comitati del Sì o del No a questa riforma, qualcuno anche presieduto da eminenti costituzionalisti animati, si sa, dallo spirito di difesa della Costituzione...
L'approccio di metodo manicheo, quello cioè, di declinare il referendum come una decisione tra Bene e Male, tra Giusto e Ingiusto, tra la Costituzione e la sua vulnerazione, non appare, a ben vedere, originale e nemmeno molto corretto, anche a voler sposare il punto di vista della propaganda politica.
Il deficit di correttezza sta, come si dirà meglio avanti, nella falsità dell'alternativa, pertanto, si ha ragione di ritenere che più che da vere ansie costituzionali (che, francamente, in questa legge costituzionale sono difficili da rinvenire) l'impegno a declinare la riforma come un attacco alla Costituzione ed ai suoi valori sia motivato da ragioni late e piuttosto recondite, che forse, sono da rinvenirsi nella strutturale complementarietà funzionale tra mondo della politica e mondo della scienza.
Non sembra qui né inutile, né inopportuno, porre alcune brevi premesse che, forse, possono orientare nell'apprezzamento di tale esperienza.
In primo luogo, una revisione della Carta deve essere, sul piano politico, adeguatamente motivata con ragioni di opportunità o, ancor più, necessità istituzionale che nulla hanno a che vedere con l'azione di governo.
L'apprezzamento di tali motivazioni, peraltro, deve risultare rigoroso e tanto più allorquando trattasi di una revisione che tocca il sistema delle garanzie, come, appunto, è nel caso della magistratura.
Ora, non sembra realmente contestabile che, in quest'ambito, possa rinvenirsi l'esistenza di una pluralità di ragioni a base dell’intervento del legislatore costituzionale, a partire dalla questione della chiara venatura politico-partitica che attraversa tale Potere dello Stato.
Del resto, quello della separazione di funzioni e carriere di magistratura giudicante e requirente è sempre stato un tema attuale e controverso, se solo si ricordano i rilievi espressi in Assemblea costituente da studiosi penalisti del calibro di Bettiol sulla posizione del pubblico ministero all’interno della magistratura o, successivamente, le chiare considerazioni svolte in proposito da Giuliano Vassalli.
In secondo luogo, in uno Stato di democrazia pluralista non esiste riforma costituzionale approvata dalla sola maggioranza (sia pure assoluta) che possa o debba dirsi perfetta.
Di qui, a parlare di un pregiudizio all'integrità dei valori costituzionali, in particolare alla tutela dei diritti fondamentali, ne corre.
La separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, come chiaramente ha spiegato la Corte Costituzionale (sentenza 37/2000, relatore Onida) non è soluzione organizzativa costituzionalmente vincolata poiché la Costituzione non contiene alcun principio "che imponga o al contrario precluda la configurazione di una carriera unica o di carriere separate fra i magistrati addetti, rispettivamente, alle funzioni giudicanti ed a quelle requirenti..."
Per ciò che attiene ai suoi contenuti, né la prevista separazione delle carriere né l’istituzione di un giudice speciale (l'Alta Corte di disciplina) per gli illeciti disciplinari dei magistrati integra una lesione al principio di autonomia e indipendenza della magistratura (articolo 101 Costituzione), della quale fanno parte sia giudici che pubblici ministeri.
Dunque, il nuovo assetto costituzionale non andrebbe a porre anche minimamente in discussione tale principio né comporterebbe una soggezione al Governo dell'Ufficio del Pubblico Ministero.
In definitiva, l'approvazione di questa riforma non sembra idonea a produrre ansie di tipo costituzionale, ciò che dovrebbe indirizzare la prossima campagna referendaria sui soli binari del puro gradimento politico, senza scomodare il tema forte e socialmente divisivo della difesa della Costituzione.
Un'ennesima sfida al senso etico di responsabilità del sistema politico.
comunicato n.174117
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