L'eterna transizione e la democrazia incompiuta. Storie di ordinaria degenerazione della politica
Le affermazioni di un esponente politico di primo piano, la liberta' e' a rischio quando l'"estrema destra" e' al Governo e che i provvedimenti assunti in materia di sanita' e spesa pubblica valgono a produrre "propaganda e odio", stimolano considerazioni sullo stato della nostra politica in cui si assiste ad uno scontro di delegittimazione riflesso anche nell'uso di un linguaggio sistematicamente aggressivo che scivola, non di rado, nell'offesa personale
di Vincenzo Baldini, docente di Diritto Costituzionale
Alcune affermazioni di un esponente politico di primo piano, qualche giorno fa riportate da alcuni organi di stampa (la libertà è a rischio quando l'"estrema destra" è al Governo e che i provvedimenti assunti in materia di sanità e spesa pubblica valgono a produrre "propaganda e odio") stimolano alcune brevissime considerazioni sullo stato della nostra politica.
Viviamo una fase di transizione infinita e incompiuta, che si apre con l'avvento dei nuovi partiti dopo le vicende giudiziarie di Tangentopoli e, a distanza di oltre trent'anni, non ancora accenna a chiudersi.
Essa è caratterizzata dalla mancanza di reciproco riconoscimento delle forze politiche in campo, con la conseguenza che il confronto tra partiti non attiene alla diversità di posizioni politiche ma si risolve nella sostanza in uno scontro di delegittimazione riflesso anche nell'uso di un linguaggio sistematicamente aggressivo che scivola, non di rado, nell'offesa personale.
Gli effetti deteriori di tale transizione infinita sui meccanismi di funzionamento dello Stato costituzionale democratico non sono marginali, a partire dall'esistenza di una seria e concreta minaccia al pluralismo dei partiti politici che la Carta costituzionale pone quale presupposto dell'assetto di democrazia rappresentativa ivi sancito (articoli 1 e 49 della Costituzione).
In quest'ultima, i partiti sono chiamati a organizzare il contesto degli interessi eterogenei presenti nella società civile traducendolo in proposte politiche da sottoporre, in fine, al voto popolare.
Le funzioni dei partiti non si esauriscono, dunque, nella "presentazione di alternative elettorali" (ordinanza 79/2006) ma sono "preordinate ad agevolare la... realizzazione di linee programmatiche" che le stesse formazioni politiche "sottopongono al corpo elettorale, al fine di consentire una scelta più chiara e consapevole anche in riferimento ai candidati" (Corte costituzionale, sentenza numero 1/2014).
Un altro effetto costituzionale di rimbalzo della transizione democratica consiste nella impossibilità di procedere a riforme condivise della Legge fondamentale, come documenta la revisione del Titolo V della Costituzione e come confermano, peraltro, le ultime vicende connesse alla proposta revisione della forma di governo e dell’ordine giudiziario.
In principio, il procedimento di cui all'articolo 138 della Costituzione consente di realizzare la revisione con il voto favorevole nelle Assemblee rappresentative della sola maggioranza di governo.
Esso tuttavia bene si attaglia al fine di procedere a meri adattamenti del testo costituzionale, preservandolo nella sua integrità assiologica e nell’aspettativa di durata, meno congruente appare per il fine di una riforma ampia od organica della Costituzione, come quella relativa alla forma di Stato regionale e/o alla forma di governo.
Non a caso, in un messaggio inviato alle Camere, il capo dello Stato, Francesco Cossiga, ipotizzò percorsi alternativi alla revisione ex articolo 138 della Costituzione per la riforma di parti organiche della Costituzione.
Nemmeno è un caso che in una fase della storia della nostra Repubblica, connotata da un dilagante attivismo mirato nel campo delle riforme costituzionali si avvertì il bisogno di prevedere, con legge costituzionale (numero 1/1997), uno procedimento in deroga a quello ordinario ex articolo 138 Costituzione. Last but non least, ultima ma non meno importante, tra le conseguenze della transizione incompiuta, è quella consistente nel fatto, oggettivo e incontestabile, di una progressiva disaffezione dei cittadini alla vita politica, di una grave sfiducia nella capacità rappresentativa dei partiti politici che si traduce, nell'esito concreto, anche in una forte astensione dal voto ad ogni tornata elettorale.
Una democrazia nella quale si realizza un forte scollamento tra elezione e partecipazione popolare, in cui si reca al voto poco più (o poco meno) del 50% degli aventi diritto e in cui, a volte, si viene eletti ad importanti cariche istituzionali con basse percentuali (20%, 25%) di consenso, è solo una parvenza di democrazia, piuttosto una tecnica di decisione basato sulla regola di maggioranza.
Nel contempo, essa realizza forse la più significativa conferma di una profonda sfiducia dei cittadini nel sistema politico in generale e nella capacità rappresentativa dei partiti in particolare.
Questa condizione non si supera ricorrendo a leggi impositive di divieti e/o introduttive di obblighi di partecipazione, puntualmente assistiti da sanzioni, penali o amministrative, per la loro inosservanza.
Occorre piuttosto procedere ad un’approfondita analisi su ruolo dei partiti nell'era contemporanea, sulla loro capacità di coagulare consenso corrispondendo ad istanze ed aspettative del pluralismo sociale.
Tanto, deve indurre ad un complessivo ripensamento del senso specifico della democrazia rappresentativa e della funzione che essa è in grado di realizzare, tanto più in un contesto nel quale la razionalità della decisione politica richiede competenze tecniche particolari ed è non di rado dislocata su livelli sovranazionali i cui percorsi decisionali restano tuttora coperti da un velo di opacità.
Sarebbe il tempo di porre fine a tale transizione democratica, un tale esito passa tuttavia ineludibilmente per l'effettivo abbandono di un'etica del potere e il consolidamento, al suo posto, di un'etica della responsabilità che possa rendersi riconoscibile alla comunità dei cittadini e riuscire, così, a incoraggiare un recupero di fiducia da parte di questi ultimi nell'intero sistema politico rappresentativo.
Senza il presupposto di questa rivoluzione etica, la fase della transizione democratica è destinata a non avere mai fine.
Ma è propria di questa fase la nascita e l'incrementarsi di forze politiche populiste che avallano rigurgiti di un autoritarismo politico.
comunicato n.173860
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