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Benevento, 30-08-2025 11:28 ____
Dentro la testa di un animale egizio che volge lo sguardo alla Patrona, la chiave bronzea avvolta in una cartina segnera' il passaggio successivo
Il professore segue le indicazioni che lo porteranno dopo il Toro Apis al Teatro Romano ma mentre fa per prendere un oggetto nascosto li' forse da centinaia di anni una bastonata alla testa lo fa cadere a terra. Era il talismano? Gli autori De Lipsis e Palmieri forse ce lo diranno nella prossima ed ultima puntata dell'avvincente romanzo...
Nostro servizio
  

Prosegue l'avvincente racconto di Luca De Lipsis e Giuseppe Palmieri che ci tengono sulle spine per conoscere se la ricerca del professore avrà buon esito e sopratutto cosa ne farà di quel libro quando e se lo troverà...
Buona lettura.

                            IL TALISMANO
                            seconda parte


Una volta rientrato in casa, Palmieri fu tentato di telefonare alla figlia per raccontarle le ultime vicende.
Sollevò la cornetta ma desistette.
Pensò che sarebbe stato meglio avere qualcosa di più concreto da comunicarle.
Così si sedette sulla poltrona del salotto a riflettere, fumando l'amato sigaro.
Sovrappensiero, non si accorse dell'arrivo della sera. Lo squillo del citofono di casa lo ridestò di colpo.
Tranquilli era stato di parola venendogli a fare visita.
Il professore lo fece accomodare nello studio e attese che fosse l’amico a parlare per primo: "Avevi ragione, la donna è stata riconosciuta da alcuni vicini di casa.
Il medico legale che ha eseguito il sopralluogo mi ha confermato che la morte è sopraggiunta per sbranamento.
Sembra sia stata azzannata da alcune bestie feroci. Non ha altre ferite compatibili con armi o colluttazione. Quindi non ci sarebbe alcun sospettato su cui indagare. E la tua ipotesi diventa meno credibile".
Il professore lo stava ad ascoltare quando improvvisamente ebbe un mancamento. Il commissario fece appena in tempo a sorreggerlo per evitare che cadesse. Lo adagiò in terra.
Il respiro era comunque regolare ma sembrava privo di sensi.
Lo chiamò scuotendolo più volte finché non si riebbe.
Come rinvenuto da un incubo, Palmieri riaprì gli occhi manifestando sgomento.
Trasse un grosso respiro. "Che ti è successo?" chiese il commissario. Niente… niente… da un po’ di tempo a questa parte mi capita abbastanza spesso ed è sempre peggio…
"Ma sei andato da un dottore?" insistette preoccupato l’amico.
No, in verità no…
Tranquilli lo rimproverò: "E cosa stai aspettando? Hai ancora una figlia a cui pensare!"
Sì, hai ragione… Ma dicevamo? Cosa hai in mente di fare adesso?
"Come ti accennavo, per quanto scettico, ho voluto seguire il tuo ragionamento. Così ho rintracciato il notaio della famiglia Nacci.
Il dottor Falco, persona molto disponibile. Mi ha detto che tutta l'eredità del suo cliente era andata al dottore Napolitano, amico della famiglia Nacci, unico erede individuato nel testamento.
Sembra avesse finanziato la casa editrice prima della chiusura definitiva. Fin qui nulla di particolare. Il fatto strano è che l'esecutore testamentario, avvocato Coluccio, dopo aver consegnato i beni a Napolitano, è morto in circostanze misteriose".
In che senso? chiese Palmieri incuriosito. "Si è suicidato qualche anno dopo. E' stato trovato impiccato allo scaldabagno... cosa davvero singolare, se pensi che l’altezza dei tubi era praticamente uguale alla sua...
A ogni modo in casa non furono trovati segni di effrazione, né si rinvennero segni di violenza o coercizione su di lui...
Questo conferma ancora una volta che chi ha a che fare con il libro corre un grosso pericolo... Spero di non coinvolgere anche i miei amici. Mi sento quasi in colpa per tutto ciò. Cosa possiamo fare?
"Ormai niente, alea iacta est! Comunque la morte dell’avvocato fu archiviata come suicidio e, fino a prova contraria, non abbiamo alcun sospetto omicida. Detto questo adesso riposa.
Domani mattina ti verrò a prendere. Andremo a casa del dottore Napolitano".
Il commissario prima di uscire aggiunse: "Stai sereno e rilassati".
Purtroppo il suo augurio non ebbe l'esito sperato. Quella notte il professore fu sconvolto da incubi. Sognò di ritrovarsi steso nel letto, impossibilitato a muoversi, mentre ombre indefinite ballavano intorno a lui. Provava a urlare ma la voce gli si strozzava in gola. Improvvisamente, davanti a lui, si materializzò una figura avvolta da una fitta foschia.
Quell'essere gli si avvicinò all'orecchio sussurrandogli qualcosa. Poi, così come era comparso, si dissolse.
Palmieri si svegliò di colpo con il respiro spezzato. E, come oramai succedeva da molto tempo, non riuscì più a riaddormentarsi.
Nel dormiveglia si ricordò la frase proferita dall'essere misterioso: Nunc tua potestas non transit limen.
Il giorno successivo Tranquilli arrivò alle nove.
Lo trovò già vestito, sbarbato, profumato e brillantinato. Salirono sulla macchina d'ordinanza per dirigersi da Napolitano.
Il commissario aveva preventivamente avvertito del loro arrivo, tanto che furono subito ricevuti dal dottore. Il suo studio era quanto mai singolare.
Quadri giapponesi, vasi cinesi, statue di giada e una mobilia, certamente molto preziosa, in stile anni venti.
Egli, dall'aspetto di un dandy uscito da un quadro di Tamara de Lempicka, completava l'arredamento creando l'illusione di essere balzati trent'anni indietro.
Il dottore Napolitano era una persona alta e robusta. Aveva il viso gentile e ammaliante. Fu subito disponibile al colloquio.
La riconosce questa litografia? disse il professore porgendogliela, appartiene a un litografo che collaborava con la casa editrice Nacci.
"Sì, certamente, altre sue litografie mi furono consegnate dal dottore Coluccio. Lo conoscevo bene. Peccato che abbia fatto una fine orrenda. Il litografo, invece, non l’ho mai incontrato".
Palmieri ricordava la storia dell'avvocato, era rimasto sconvolto anch'egli quando aveva saputo del suicidio. Mi farebbe piacere vedere le litografie del Principe disse, ma vorrei sapere se ha anche libri della vecchia casa editrice, magari il litografo si ispirava alle loro opere per i suoi dipinti.
"Certamente, ho un armadio pieno. Vi accompagno nella stanza dell'archivio, così potrete dare un'occhiata di persona".
Il commissario lo ringraziò per la disponibilità e insieme si diressero verso una stanza attigua.
Napolitano precisò: "Sia ben inteso, io tengo molto a questi libri. Vi do la possibilità di consultarli ed eventualmente di prestarveli per la stima che mi lega al commissario Tranquilli, il quale farà da garante.
Tuttavia gradirei che qualsiasi cosa prendiate mi venga riconsegnata".
Non si preoccupi cercò di tranquillizzarlo il professore, tutto avverrà nella massima discrezione. Se dovessi trovare qualcosa di interessante per i miei studi lo prenderò in prestito, ma sarà mia premura riportarglielo di persona.
Mentre rispondeva, la sua mente già ardeva di inquietudine ed eccitazione. I libri accatastatati erano numerosi. I due amici non si persero d’animo e iniziarono ad aprirli uno per uno.
La mattinata trascorse senza indugi.
Ogni tanto Napolitano veniva a informarsi se ci fossero novità, suggerendo dove proseguire con le loro ricerche.
"Ettore prova a vedere sugli scaffali in alto. Lì c'è la scala" disse Tranquilli indicandola. "Io provvederò a cercarlo nelle ante qui in basso".
Grazie per il consiglio, rispose il professore mentre si accingeva a salire la scala, dopo averla appoggiata sulla parete della libreria.
In quello scaffale c'erano libri di ogni genere: Storia, narrativa, geografia. Alcuni volumi erano senza copertina, altri parzialmente completi, altri ancora così usurati che la lettura sarebbe stata difficile.
Il professore scaricò dallo scaffale una decina di libri, presi a caso, scelti più perché logorati e, quindi, presumibilmente antichi, che per la consapevolezza del contenuto.
Incominciò a sfogliarli, sollevando anche un po' di polvere.
Via il primo, il secondo, il terzo... finché ne trovò uno sfilacciato e logoro. Anche questo privo di titolo borbottò il professore. Ne sfogliò alcune pagine alla ricerca dell'indice e, nello scorrerlo, la mano incominciò a tremare.
Quel libro, rovinato e quasi da scartare, conteneva una serie di racconti.
Il professore intensificò la sua attenzione e prese a controllarne i titoli: un racconto era intitolato Il talismano. Sospettando che il contenuto fosse quello desiderato, Palmieri, sia pur con qualche incertezza, dichiarò di aver trovato il libro desiderato.
A casa avrebbe verificato il contenuto ma era convinto di avere in mano l'oggetto dei suoi desideri.
Sono anche fortunato dichiarò perché le pagine di questo racconto sembrano essere complete.
In effetti lo erano, sebbene l'inchiostro con cui era stato scritto era sbiadito e alcune lettere cancellate. Lesse alcuni righi, prima di richiuderlo.
"Sono contento per lei" fece Napolitano dandogli una pacca sulla spalla. "Ci deve tenere proprio tanto alla lettura di queste leggende".
Lei neanche può immaginarlo. Mi dia due giorni e glielo riconsegnerò.
I due si scambiarono un cenno di intesa. Sulla via del ritorno Tranquilli vide Palmieri assorto nella lettura. "Allora caro Ettore, finalmente ci sei riuscito".
Senza il tuo aiuto non ce l’avrei mai fatta, rispose l'amico.
"Spero che adesso non ti metterai in qualche brutto pasticcio. Ho tanto di quel lavoro arretrato che non mi andrebbe di badare anche a te. Le ultime vicende cittadine mi hanno logorato".
Stai sereno, Claudio, lo tranquillizzò il professore, non ho alcuna intenzione di mettermi nei guai. Il tuo aiuto è stato prezioso. Non smetterò mai di ringraziarti. Al resto ci penserò io.
Accompagnato davanti alla propria abitazione, Palmieri salutò Tranquilli e guadagnò velocemente l'uscio di casa mentre già l'ora tarda faceva intravvedere tutta la bellezza della luna piena. La prima cosa che fece Palmieri fu quella di telefonare alla figlia per raccontarle della preziosa scoperta.
Ciao Giulia come stai? Scusa se ti chiamo a quest’ora ma ci tenevo a raccontarti quello che mi è successo. 
"Ciao papà" rispose la figlia allarmata, "spero che non sia nulla di grave. Quando mi telefoni alle ore impensabili è sempre per comunicarmi qualcosa di spiacevole".
Il professore la tranquillizzò: Non ti preoccupare, stavolta non è così. Ti ricordi quando ti parlai di quel libro di leggende che non riuscivo a trovare in nessun luogo?
"Certo" fece la figlia "ti sei fissato con questa ridicola storia. Hai girato tutto il paese. Per metterti alla ricerca di un libro che forse non esiste neanche".
Ebbene, ti sbagli, perché l'ho trovato. Non in condizioni ottimali. Ma è leggibile.
"Mi fa piacere per te. Ma dimmi, Ora cosa hai intenzione di fare? Un uomo di cultura come te non dovrebbe dare seguito a quelle leggende di basso conto".
Ti sbagli ancora. Tu non puoi capire perché non conosci il suo contenuto. Ma sono sicuro che, quando avrò scoperto i segreti in esso celati cambierai opinione. Li scriverò nelle mie memorie e te ne farò dono. Comunque, non ti devi preoccupare per me, Giulia.
Avvierò le mie ricerche nella massima tranquillità. Al più, se non trovo nulla di interessante, sarà stato un piacevole passatempo
.
"Se lo dici tu, allora buona ricerca".
Ti aggiornerò. Buonanotte.
"Buonanotte a te".
Padre e figlia si congedarono. Il professore aveva ancora tra le mani la sua preziosa scoperta e, vinto dalla curiosità, si immerse nella lettura. Fuori aleggiava un caldo secco.
La luna, incorniciata da un luccichio di stelle, si stagliava imponente tra le montagne della Dormiente.
Intorno un silenzio rispettoso delle bellezze rupestri. Il racconto era come se lo immaginava.
Ripercorreva la storia del talismano così come era stato concepito da un gruppo di streghe. Esse con le loro pozioni magiche lo avevano intriso di potenza e di saggezza.
La scritta sul retro del talismano era come se la ricordava da bambino. La stessa sussurratagli in sogno dal guerriero.
Chiunque avesse trovato il talismano e avesse letto al contrario quell'inciso, avrebbe beneficiato dei suoi effetti.
Quell'oggetto, in virtù della sua storia e dei suoi poteri, non era alla portata di tutti. Un prezioso tesoro che non poteva finire in mani sbagliate. Solo un prescelto sarebbe stato in grado di recuperarlo.
Una sola persona avrebbe meritato i suoi benefici. Il professore si sentiva sicuro di essere lui il predestinato. Leggeva assorto nel silenzio della notte.
Ogni pagina letta dal professore alimentava la sua avidità di conoscenza.
Un passaggio del testo lo colpì: "Dentro la testa di un animale egizio che volge lo sguardo alla Patrona, la chiave bronzea avvolta in una cartina segnerà il passaggio successivo".
Cosa voleva significare questa indicazione? Forse un indizio che conduceva al nascondiglio? Cosa rappresentavano la mappa e la chiave? E la testa di un animale?
Il professore aveva il cervello invaso da mille domande. Incuriosito, andò avanti nella lettura sperando di trovare qualche passaggio più indicativo.
Il testo si dipanava in altre descrizioni, senza più alcun riferimento a ulteriori circostanze.
Se non fosse stato per la stanchezza che prevaleva su di ogni altra emozione, Palmieri sarebbe rimasto a leggere per tutta la notte. Ma quando gli occhi stanchi cominciarono a socchiudersi autonomamente, decise di andare a letto per riacquisire le forze.
Portò con sé il testo.
La notte era tranquilla, una placida notte estiva. Le finestre socchiuse facevano entrare un fresco tepore notturno. Il gracidio di qualche rana interrompeva di tanto in tanto il silenzio della natura. Sulle pareti della stanza si rifletteva l'argenteo bagliore lunare.
Ciò nonostante il professore non era a suo agio. Agitato, si rigirava nel letto, quando all'improvviso percepì un rumore di vetri infranti che lo allarmò, scuotendolo.
Il libro che aveva tra le mani gli cadde in terra. Non ancora completamente sveglio pensò a un brutto sogno. Solo quando avvertì un rumore di passi tra i vetri rotti, si ridestò nuovamente sopraffatto dalla paura. Non ebbe alcun dubbio.
Qualcuno era entrato in casa. Balzò in piedi, aprì il cassetto del comodino ed estrasse una pistola.
Era una Beretta M 17, compagna nelle notti trascorse in caserma durate la Grande Guerra.
Gli era stata d'aiuto in tante circostanze, ma non aveva mai ucciso nessuno. Il professore la impugnò, era già carica. Avanzò fino all’ingresso della stanza da letto. Aprì la porta senza fare rumore e varcò l’uscio. Il corridoio era immerso nel buio.
Non percepì alcuna presenza. Avanzò lentamente fino alle scale pronto a intervenire in caso di rumori sospetti.
Un fruscio impercettibile gli raggelò il sangue nelle vene. Si girò di scatto ma nell'oscurità non distinse nulla. Piccole stille di sudore gli imperlarono la fronte. Il cuore palpitava. Iniziò a scendere lentamente la rampa. I gradini giravano ad angolo.
A metà percorso inclinò il capo rivolgendo lo sguardo verso la finestra del salone.
Si accorse che i vetri della porta-finestra erano frantumati. La paura gli strinse il torace. Non ebbe neanche il tempo di realizzare cosa fosse successo che vide un'ombra riflessa sul muro dirigersi nella zona studio.
Puntò la pistola in quella direzione e sparò urlando: Vieni fuori delinquente, ti ho visto! Non hai scampo!
L'urlo si perse nel silenzio. Il proiettile si conficcò nel muro. Il professore scese le scale e avanzò fino all’interruttore. Lo pigiò ma la luce non si accese.
L'intruso aveva tranciato i fili della corrente. Brancolando nel buio si diresse verso lo studio, seguendo il percorso dell’ombra. Doveva prendere una torcia.
Entrò nella stanza, sapendo dove fosse riposta.
Improvvisamente, dalla cucina udì dei passi correre velocemente verso di lui. Di riflesso, prese la maniglia della porta e la chiuse repentinamente girando la chiave nella toppa. Appena in tempo.
Sentì le mani dell’intruso colpire l'uscio chiuso. Sparò attraverso la porta tre colpi.
Seguì un urlo disumano che rimbombò per tutta la casa. Non aveva mai udito un grido così spettrale, sembrava provenisse dall’oltretomba. Poi nuovamente il silenzio. 
Avvicinò l'orecchio alla porta. Percepì il respiro corto dell'aggressore.
Indietreggiò di qualche passo e puntò nuovamente la pistola contro la porta minacciando: Se provi a forzare la serratura ti sparo ancora. Sentì, dal lato opposto, passi che si allontanavo e, dopo qualche secondo, il rumore delle ante di una finestra che si spalancavano.
Si rese conto di averlo messo in fuga.
Girò la chiave nella serratura, abbassò la maniglia e, uscendo nel corridoio, si diresse verso la cucina. Trovò la finestra spalancata. Si affacciò e scrutò in lontananza.
Non vide alcun movimento. Il ladro si era dileguato. Immediatamente, prese la cornetta del telefono per chiamare aiuto ma si accorse che non c'era linea.
Anche i cavi del telefono erano stati tranciati. Senza perdersi d'animo, certo di essere rimasto solo, uscì in giardino e si diresse a piedi verso il cancello di ingresso, impugnando sempre la Beretta. 
Si guardò intorno con la massima attenzione per avere la certezza di essere rimasto solo.
La macchina aveva le ruote a terra, certamente il ladro non aveva intenzione di lasciarlo scappare. A quel punto la paura lo assalì. Prese coscienza del pericolo corso. Un pericolo reale, grave.
Tutto era stato predisposto per impedire che fuggisse, per fargli del male.
Incominciò a tremare, un tremito continuo, frenetico, incontrollabile.
Avrebbe voluto chiedere aiuto, ma le case più vicine si trovavano a circa cinquecento metri. Troppi per sentire gli spari dei colpi esplosi. Una distanza eccessiva da percorrere a piedi, con un ladro forse ancora nei paraggi. Non gli rimase che rientrare in casa. Non fu facile. Le gambe non volevano camminare. Comunque avanzando lentamente entrò.
Sempre lentamente si accinse a perlustrare ogni ambiente assicurandosi che tutte le finestre fossero ben chiuse. Giunto nel salone serrò le gelosie della porta-finestra che aveva lasciato imprudentemente aperte.
Chiuse tutte le porte che mettevano in comunicazione i piani, infine si barricò in camera da letto con la pistola a portata di mano in attesa dell'alba.
Passò la notte sveglio con le orecchie tese a udire ogni rumore sospetto, ma non successe più nulla.
Giunto il mattino, si preparò e uscì per andare dai confinanti a chiedere di usare il telefono per chiamare la polizia.
I vicini lo accolsero e gli offrirono l'aiuto richiesto, impauriti anch'essi dopo aver saputo dell'accaduto. Il professore chiamò subito in questura.
Il poliziotto che rispose raccolse le generalità e si segnò l’indirizzo dell’abitazione dove era avvenuta la violazione.
Poi lo rassicurò che avrebbe avvertito la pattuglia reperibile per fare il sopralluogo. Interrotta la telefonata il professore si rasserenò.
Raccontò ancora qualcosa ai suoi interlocutori curiosi e preoccupati. A passo veloce ritornò alla villa. I poliziotti furono celeri.
Arrivarono dopo circa venti minuti dalla chiamata. In prossimità del cancello scesero due uomini. Alla loro vista Palmieri che li aspettava in giardino urlò: Vi faccio entrare subito. Ma devo aprirvi manualmente perché è stata staccata l'elettricità.
Una volta entrati essi iniziarono la perlustrazione. Contemporaneamente arrivò la macchina del commissario. Palmieri lo aspettava.
Sapeva che una volta informato della violazione domestica subita dall'amico, Tranquilli sarebbe accorso da lui.
"Ettore cosa è successo? Mi hanno detto che hai ricevuto delle visite indesiderate e sono subito venuto. Ho preferito accertarmi di persona delle tue condizioni di salute sebbene abbia una giornata veramente impegnativa".
Quel giorno il commissario aveva programmato di dedicarsi all'avvio delle indagini sul ritrovamento del cadavere della donna sfigurata, ma la chiamata dell'amico lo aveva distolto dai suoi propositi. Palmieri prese a raccontargli come si erano svolti i fatti.
Lui lo ascoltò con partecipazione e senza interromperlo.
Al termine del resoconto invitò i due agenti che avevano perlustrato le zone limitrofe a ispezionare l'abitazione.
I poliziotti trovarono i segni dell'effrazione e cercarono di ricostruire la scena perlustrando gli ambienti in cui il ladro si era introdotto. Messo in fuga dal professore, il ladro era riuscito a rovistare solo lo studio. Non vi erano altre stanze messe a soqquadro.
L'argenteria a prima vista risultava in ordine. Così come i quadri appesi alle pareti. Non erano stati trovati arnesi da scasso. Nessun altro indizio fu rilevato.
Il sovrintendente Lepore ispezionò il giardino. Tornò rammaricato facendo rapporto al suo capo: “Commissario, fuori non abbiamo trovato niente. Solo qualche orma di animale".
Il commissario annotò tutto sul taccuino poi si rivolse al professore: "Ettore, lascerò una pattuglia qui davanti qualora il malintenzionato dovesse ritornare.
Tu, con calma, fammi un resoconto degli oggetti di valore o di qualsiasi altra cosa eventualmente trafugata. Intanto vieni con me per la denuncia".
Grazie Claudio, rispose il professore afflitto. Tranquilli telefonicamente sollecitò l'arrivo di un'altra pattuglia.
Al loro arrivo diede indicazione agli agenti di restare a guardia dell’abitazione fino a quando la finestra e le utenze domestiche non fossero state riparate.
I due si avviarono in commissariato per proseguire l'iter giudiziario, dopo avere stilato una denuncia contro ignoti.
Quando il professore fu riaccompagnato a sera inoltrata vide ancora i poliziotti sostare nel giardino di casa. Entrato in casa, si sedette sul divano e socchiuse le palpebre con le dita delle mani.
Così si addormentò, rasserenato dalla presenza della polizia. Il giorno faceva capolino. Il sole stava sorgendo all’orizzonte illuminando con i primi raggi il paesaggio circostante.
E come se, quanto accaduto, fosse divenuto solo un ricordo lontano. Palmieri ripensò nuovamente a quella frase del libro che tanto lo aveva colpito.
Si svegliò riposato. La prima cosa che pensò di fare fu di riconsegnare la litografia e il libro. La macchina era ancora fuori uso, così dovette aspettare l’arrivo del bus per scendere in città. Trovò il signor Bruno che lavava il pavimento.
"Allora professore come è andata la sua ricerca? E' stata utile la litografia?"
Palmieri, che non aveva tempo da perdere, lo liquidò superficialmente: Diciamo che mi ha dato una grossa mano. Sono riuscito a risalire al libro. E' stata una lettura interessante. Poi un giorno gliene parlerò. Adesso devo occuparmi di altre faccende.
Lasciò la litografia sulla scrivania e salutò il signor Bruno che lo guardò perplesso. Uscì dalla biblioteca e si diresse presso l'abitazione di Napolitano.
Anche in questo caso la visita fu rapida.
Sono stato di parola, le riconsegno il libro.
"Non avevo dubbi" rispose il dottore per nulla sorpreso di quella visita. Terminato l'impegno, si diresse allo studio dell’avvocato Vincente.
Ad attenderlo, seduto in poltrona, vi era anche Giovanni, il libraio.
L'avvocato gli aveva precedentemente telefonato per invitarlo a quel consesso.
"Mi fa piacere Ettore che hai trovato il testo che cercavi" gli disse Giovanni porgendogli la mano. Vincente aggiunse: "Giovanni ha accettato volentieri di offrirci il suo aiuto".
Palmieri si rivolse al libraio: Grazie per la tua disponibilità. La tua conoscenza in materia ci darà una grossa mano.
Il libraio replicò: "Figurati, è un piacere. A proposito, ho saputo della tua disavventura domestica. Meno male che non ti è successo niente".
Cose che capitano, rispose con aria rassegnata il professore.
Dopo un breve resoconto della nottata, riferì quello che aveva letto e tutte le sue impressioni. Il libro era un enigma. Dava una serie di indicazioni criptiche che, una volta chiarite, avrebbero dovuto condurre al misterioso amuleto.
Il primo passaggio era capire il significato di quella frase: "Dentro la testa di un animale egizio che volge lo sguardo alla Patrona la chiave bronzea avvolta in una cartina segnerà il passaggio successivo".
“Un animale egizio” rifletté Vincente. “Quali animali sacri abbiamo esposti al nostro museo? E soprattutto, a quale Santa protettrice si rivolge il testo?”
Il professore aggiunse: Abbiamo la sala Egizia dedicata alla Dea Iside, dove sono esposti simulacri di divinità, falchi, leoni e qualche lapide funeraria. In una di queste statue potrebbe essere celato il segreto.
"Una scritta sulla testa di qualche animale, oppure qualche disegno simbolico" riprese Vincente.
Il libraio si inserì nel discorso: "Se riteniamo che nel museo sia stata collocata la statua di un animale che, originariamente, rivolgeva simbolicamente lo sguardo a Iside in segno di devozione, allora potrebbe essere una pista valida.
Tuttavia, non mi risulta che sia stata mai ritrovata una rappresentazione scultorea della Dea Iside.
Inoltre, aggiunse il professore, nel corso degli anni con tutti i restauri che ha subito l'edificio, i reperti sono stati spostati dalle loro posizioni ed è possibile che alcuni di essi siano andati persi.
Purtroppo il libro non ci dà alcuna indicazione sull’animale da cercare e nel museo ne sono esposti migliaia
.
Vincente insinuò un altro dubbio: "Il termine patrona è adottato dalla Chiesa Cattolica e per venerare una persona come Santa, a protezione di una certa categoria di fedeli. In tal caso la religione egizia dovrebbe essere esclusa dalle nostre supposizioni".
Quindi, rispose Palmieri, secondo te il testo potrebbe non riferirsi alla Dea Iside ma a qualche santa cristiana.
"Esatto" replicò l’avvocato. Poi obiettò: "Nelle nostre chiese non sono esposte sculture di animali risalenti all'antico Egitto".
Intervenne il libraio con una intuizione: "Dentro no, ma fuori la nostra Basilica, a circa cento metri è allocata una statua in pietra.
Il Toro Apis si affrettò a rispondere Palmieri. Vincente capì a cosa si stesse riferendo: "In effetti la Basilica a cui il Toro Apis rivolge lo sguardo è dedicata alla Patrona della nostra provincia, la Madonna delle Grazie".
Il professore si accese un sigaro e concluse soddisfatto: Amici, forse è questa la pista giusta. Io proporrei di fare un salto lì. Sicuramente ci riserverà qualche sorpresa.
Il libraio rispose: "L'importante è avvicinarsi in un orario in cui il passaggio non sia troppo affollato, per non dare nell'occhio".
L'avvocato Vincente, affascinato da tutta la questione, volle sottolinearne l'aspetto misterioso e propose di incontrarsi tutti la notte stessa, a mezzanotte.
Di sicuro ci sarebbe stata la calma necessaria. "Se siamo tutti d’accordo vi passo a prendere e andiamo in perlustrazione. Io direi di sbrigarcela da soli, senza l'aiuto di nessuno.
Per il momento non infrangiamo né il codice civile né quello penale.
Però non credo che le nostre azioni siano tanto lecite e il commissario Tranquilli, ancora scettico, ci potrebbe ostacolare".
I tre amici convennero con un segno di assenso dandosi appuntamento all'orario stabilito dall'avvocato. Erano convinti di avere individuato una pista giusta.
Prima di andarsene il professore chiese a Vincente di fare una telefonata. Doveva avvertire la figlia di quanto accaduto. Ciao Giulia disse appena la figlia rispose, ho da raccontarti delle notizie che ti sconvolgeranno.
"Ciao papà, dimmi cosa è successo?"
Ieri notte sono venuti i ladri in casa e mi hanno messo a soqquadro lo studio. Poi sono fuggiti senza trafugare niente.
"Oddio" gridò la figlia "ma tu stai bene? Ti hanno aggredito?"
Il professore la rasserenò: Non ti preoccupare. Uno l'ho messo in fuga sparandogli contro. Non so se in giardino avesse altri complici. La Polizia sta indagando sul caso e mi darà degli aggiornamenti.
Pensano si tratti di qualche topo di appartamento alle prime armi. Io non saprei dirti se è così. E' stato molto abile. Mi ha tagliato i fili della luce e del telefono.

La figlia ascoltò il racconto senza proferire parola poi aggiunse: "Meno male che non ti è successo niente. Quante volte ti ho detto che non devi vivere in quel posto isolato? Perché ora che sei in pensione, non vieni da me a trascorrere un po' di tempo?"
Giulia, non ti preoccupare, so badarmela da solo. Questo posto mi piace ancora. E poi devo concludere le mie ricerche. Sai, ho trovato un altro indizio che mi porterà dal mio talismano.
"Ancora con queste sciocchezze? Ma la vuoi smettere di comportarti come un bambino immaturo? E basta con 'ste storie: talismani, cavalieri, streghe... Datti una calmata! Inventa una storia tua. Scrivila! Pubblicala!
Non c'è bisogno di cacciarsi nei guai per scrivere un racconto. Insomma, papà, fammi stare tranquilla. Non metterti in altri casini".
Pacatamente il professore calmò la figlia: Tranquilla. Ti prometto che, concluse le ricerche, verrò a trovarti. Ciao tesoro mio. Sentendo il padre riaffermare ostinatamente che avrebbe portato avanti le ricerche, Giulia si rassegnò. Bisognava lasciarlo fare.
L'ostinazione dei vecchi era peggiore di quella dei giovani. Lo salutò: "Bene, papà, ti aspetto. Non vedo l'ora di abbracciarti".
Il Toro Apis era una scultura in granito risalente al periodo romano di Domiziano. Secondo gli storici, l'opera poteva essere la rappresentazione di una divinità egizia, inizialmente posta in una struttura ancora più grande, il Tempio dedicato alla Dea Iside, voluto proprio dall'imperatore romano.
C'erano però degli scettici che retrodatavano l'età della scultura, indicando come possibile una non appartenenza ai culti isiaci.
A ogni modo, del tempio non si era avuta mai traccia e la scultura fu ritrovata da alcune donne, parecchi secoli dopo, nell'alveo del fiume che attraversava la città.
Le stesse presero il simulacro e lo riposero sopra un piedistallo davanti alla Basilica cittadina.
A causa della esposizione alle intemperie, la scultura mostrava gli effetti del tempo. Era, ormai, un animale senza corna e senza volto.
Come di intesa, Vincente passò a prendere gli amici con la sua vettura per dirigersi verso la Basilica. Era una notte particolarmente buia.
L'avvocato imboccò la strada in discesa che costeggiava la Villa Comunale, in direzione del corso.
Arrivò al quadrivio che lo intersecava: lo superò svoltando e immettendosi in una via stretta, pavimentata di ciottoli.
Questo percorso congiungeva il centro con la parte meridionale della città. Alla fine del tragitto si trovò nella piazza antistante al Duomo.
Da qui imboccò una traversa situata dal lato opposto della chiesa e arrivò, infine, sul lungofiume.
Lo costeggiò per circa un chilometro fin quando si trovò di fronte il vialone che conduceva alla Basilica.
All'inizio della strada, posto su un basamento alto circa un metro, troneggiava la scultura del Toro Apis. I raggi della luna ricadevano sul suo busto come un velo pallido.
Vincente accostò la macchina in prossimità della scultura e spense il motore. Gli occupanti scesero dirigendosi verso il simulacro.
Palmieri li precedeva illuminando la strada con una torcia.
Arrivati vicino all’animale, iniziarono a tastarlo sperando che il marmo cedesse, rivelando qualche cavità nascosta. Vincente si avvicinò al basamento nel tentativo di individuare qualche incisione significativa, ma la statua non aveva scritte né sembrava celare alcun incavo. A un certo punto, Palmieri salì sullo spigolo del piedistallo e si trovò faccia a faccia con la statua.
Esaminò attentamente la testa, dando dei colpetti con la mano chiusa. All'altezza dell'occhio, si accorse che il granito che lo raffigurava era mobile.
Lo roteò ed esso si spostò dalla sua zona naturale, scoprendo una intercapedine.
Ci siamo disse il professore soddisfatto, ho trovato qualcosa. Infilò un dito nell'occhio dell'animale riuscendo a sfilare un piccolo involto di pelle.
L'eccitazione del professore arrivò alle stelle: Scese dal piedistallo e si sedette sul marciapiede, raggiunto dagli amici impazienti quanto lui.
"Chi lo avrebbe mai detto che la statua nascondesse un segreto? Tra i vari monumenti cittadini mi sembrava il meno interessante".
"Dai Ettore, apri!" lo invitò Vincente incuriosito da ciò che poteva celarsi all'interno dell'incarto.
Palmieri non si fece pregare e aprì l'involucro: apparve una chiave bronzea, di colore giallo. A prima vista sembrava fosse fatta in oro.
Inoltre, sulla pelle, era disegnata la pianta di un teatro semicircolare. Il libraio la osservò attentamente: “Questa è la rappresentazione del nostro teatro.”
Fammi vedere, lo esortò Palmieri riprendendosi la pelle. Poi borbottò: Hai proprio ragione... Vedi anche tu Rodolfo!
L'avvocato prese il disegno e lo esaminò. Notò un particolare che lo incuriosì e avvicinò lo schizzo alla sua faccia.
"In questo disegno è rappresentato il palcoscenico del teatro. Dietro di esso è raffigurata una maschera. Sembra una di quelle usate dagli attori nei loro spettacoli. E' l'unico elemento disegnato".
Palmieri e Vincente osservarono anch'essi e, in effetti, dovettero convenire che quella rappresentazione isolata poteva significare qualcosa. Potrebbe essere il nostro secondo indizio, esclamò Palmieri. Ma questa chiave che vorrà significare?
"Signori", riprese Vincente, "io sono d'accordo con Ettore, ritengo che la chiave e la maschera abbiano un significato ben preciso.
Se vogliamo scoprire dove è nascosto questo talismano, dobbiamo svelare il segreto. E' necessario recarsi anche al Teatro Romano. Agiremo sempre di notte per non destare sospetti. Proprio per questo sarebbe opportuno se ci andassimo in due.
Se siete d'accordo io ed Ettore andremo in perlustrazione".
Palmieri e il libraio concordarono con l'avvocato sulla necessità di agire con circospezione. Assorti nella loro discussione, tutto a un tratto furono illuminati dai fari di una macchina che si era fermata davanti a loro. Scese un uomo.
Palmieri fece appena in tempo a piegare la pergamena e a metterla in tasca insieme alla chiave che si ritrovò davanti il sovrintendente Lepore.
"Professore Palmieri, che strano trovarla qui a quest’ora, in compagnia dei suoi amici".
I tre si alzarono e andarono incontro al loro interlocutore. "Che piacere vederla, sovrintendente" rispose.
L'agente continuò: "Stavo perlustrando la zona e vi ho visto seduti sul marciapiede a quest'ora tarda".
In effetti era una bella serata e facevamo una passeggiata, si giustificò il professore. Gli altri presenti stavano in silenzio ad ascoltare la discussione.
"Perfetto", riprese il poliziotto poco convinto, "ma state attenti! In queste zone, di notte, si fanno dei brutti incontri. I tempi sono cambiati! Professore, lei ne sa qualcosa!"
Ha ragione, per questo siamo in tre. I due amici abbozzarono un sorriso.
"Allora vi lascio alla vostra passeggiata. A proposito, se avremo notizie dei balordi che l'altra sera l'hanno aggredita la contatteremo".
Grazie mille, rispose Palmieri. I due si strinsero la mano. Lepore si rimise in macchina e andò via. Anche i tre amici tornarono alle loro abitazioni. La notte era stata produttiva. Palmieri non stava più nella pelle.
Gli incastri si stavano risistemando lentamente, come in un puzzle, a ricomporre il percorso verso la verità. Il resto della notte non riuscì a chiudere occhio.
Soltanto alle prime luci del mattino, vinto dalla stanchezza si addormentò, lasciandosi accarezzare dai primi raggi del sole.
Chi rincasò più tardi di tutti fu Giovanni il libraio. Tornò solo alle tre di pomeriggio. Sul suo volto era dipinta una enorme soddisfazione.
Arrivò nella camera da letto e vide la moglie che dormiva. Non la volle svegliare. Andò in cucina e trovò il cibo ormai freddo che gli aveva preparato la consorte per pranzo. Mangiò con gusto.
Poi bevve un caffè, si diresse nel suo studio e compose un numero di telefono. Dall'altro capo non rispose nessuno. Riattaccò, sfregandosi le mani impazientemente.
Ricompose nuovamente il numero, ma la linea del telefono squillava sempre a vuoto. Spazientito, interruppe la comunicazione. Avrebbe riprovato più tardi.
La notte stabilita Palmieri e Vincente attraversarono la città seguendo il percorso delle antiche mura longobarde che racchiudevano la zona più vecchia del centro abitato.
Superarono un'antica torre diroccata per poi varcare un arco in pietra che rappresentava il punto di ingresso del rione cittadino. Percorsero vicoli stretti e intricati che si dipanavano come il filo di un gomitolo.
Erano viuzze delimitate da edifici fatiscenti ma ricchi di storia, affiancati ad altri di recente costruzione.
Quel quartiere popolare era intriso di fascino e di mistero. Infine, svoltarono in uno spiazzo antistante l'ingresso del teatro romano.
Il professore posteggiò la macchina nel parcheggio prospiciente, a quell'ora deserto e invitò l'avvocato Vincente a scendere. Quest'ultimo fu colto da un'improvvisa esitazione.
"Non me la sento di venire. Ho paura di non riuscire a saltare le grate che delimitano il teatro. Se non ti dispiace preferirei aspettarti in macchina".
Palmieri restò sorpreso da questa indecisione.
Tuttavia, non volle forzare l'amico. Va bene, allora scavalcherò da solo. Non appena trovo qualche indizio torno subito da te. Aspettami in macchina. Farò il più presto possibile.
Ciò detto, prese la torcia e si avviò verso il monumento. Il teatro, originariamente, presentava venticinque arcate disposte su tre ordini, ma allo stato attuale solo la prima arcata e parte della seconda erano lì a testimoniare la grandezza architettonica del passato.
Da queste, attraverso una serie di gradoni, si accedeva alla cavea, superata la quale si giungeva allo spazio scenico.
Alle spalle della scena una scalinata conduceva a un sottopalco sterrato dove erano riposti dei rilevi figurati.
In quel posto doveva necessariamente trovarsi la scultura indicata dalla mappa con il suo segreto.
Tutt'intorno regnava un silenzio inquietante, interrotto da qualche miagolio di gatti randagi.
La cancellata, che delimitava il teatro, non era alta, le grate erano incastrate dentro il muretto di cinta. Il professore avrebbe dovuto salire sul muretto, inchiodare i piedi sulla ringhiera posta tra due inferriate attigue e aggrapparsi allo sperone della grata.
Per quanto stremato dagli accadimenti degli ultimi giorni, era comunque spinto dalla forza della curiosità.
E, infatti, con due spinte, si trovò cavalcioni sulla ringhiera.
Si sporse dal lato opposto, e, mantenendosi con le mani sullo sperone smusso, saltò sul muretto interno. Con un balzo fu dentro.
Accese la torcia che aveva portato con sé e si diresse verso l'ambulacro destro.
Camminava prudente tra le arcate, guidato dalla luce della torcia diretta verso il pavimento. Il silenzio era totale. Qualche lontano latrato di cane sembrava fargli compagnia. O minacciarlo. In fondo era un visitatore notturno e clandestino.
Con molta cautela si addentrò nei corridoi dell'antico teatro.
Gli ambulacri avevano visto nei tempi di gloria spettatori appassionati pigiarsi per entrare nella cavea e prendere posto per assistere alle rappresentazioni teatrali. Un mondo oramai scomparso.
Improvvisamente udì un rumore indefinito che bloccò le sue suggestioni.
Non era un'allucinazione, tantomeno il rimbombo dei suoi passi. Pensò al movimento di un gatto.
Si fermò e girò la testa da ambo i lati alla ricerca dell'animale. Ma intorno non ve ne era traccia.
Riprese a camminare e, ancora una volta, la sua fantasia prese il sopravvento sulla realtà circostante. Nel silenzio della notte udì dei passi ben scanditi avvicinarsi a lui. Si fermò e riprese fiato.
Si ricordò di una antica leggenda cittadina: Una vecchietta zoppa che infestava il teatro, avendone fatta sua dimora, calzando dei grossi zoccoli con cui faceva un gran baccano: La zoccolara!
Per un attimo la vide davanti a sé, ma riuscì ancora una volta a vincere la paura.
Si stropicciò gli occhi con le dita delle mani, riprendendo spedito la marcia verso la cavea.
Giunto in prossimità della stessa, scese i gradoni avanzando verso l'orchestra.
La superò e, alle sue spalle, vide da sopra il palco numerosi rilevi figurati.
Con la torcia li illuminò uno a uno cercando quello indicato nella pergamena.
I mascheroni abbandonati, alcuni messi di traverso, con il vuoto della bocca e degli occhi, creavano suggestivi giochi di luci e ombre.
La luce della luna non sembrava più tanto amica, perché il chiarore che emanava lottava con il buio delle ombre, rendendo l'atmosfera ancora più inquietante.
Trovò il bassorilievo in prossimità di un cespuglio.
Scese la scalinata e, arrivato davanti alla scultura, si inginocchiò.
La ispezionò da vicino con la torcia accesa. Presentava diverse cavità: Le orbite vuote, le fosse nasali e la bocca aperta. Così allungò la mano nei primi spazi vuoti degli occhi ma non trovò nulla. Fu lo stesso per le narici.
Quando illuminò la bocca vide al suo interno un oggetto nascosto. Sembrava un involucro.
Stava per introdurre la mano nella bocca della maschera quando all'improvviso sentì un colpo secco all'altezza della nuca. Il dolore gli annebbiò la vista. Tutto prese a girare vorticosamente.
Aggrappandosi alla scultura provò a raddrizzarsi ma la forza nelle gambe gli venne meno. Vacillò per qualche passo fino a ricadere in terra, privo di sensi.
Quando si riprese percepì un rivolo di sangue scorrergli giù per il naso.
Si toccò la nuca che ancora gli doleva. Poi prese la torcia ancora accesa che gli era caduta dalle mani al momento dell’aggressione per illuminare la zona circostante. Non vide nessuno.
La sua attenzione si spostò nuovamente sulla maschera. Mise la mano nella bocca, ma la ritrasse vuota. Il suo aggressore aveva trafugato l'oggetto misterioso. La rabbia gli diede coraggio.
Estrasse la pistola dalla fondina e perlustrò la zona, risalendo la cavea verso l'ambulacro.
Sbandava come un ubriaco, la testa pulsava in modo sempre più inteso. Con le poche forze rimaste decise di riguadagnare velocemente l'uscita.
Arrivò al muro di cinta ma stavolta il balzo verso l'esterno fu meno fluido. Sentiva gli arti pesanti.
Si lasciò andare finendo a peso morto sull'asfalto.
Si rialzò dolorante dirigendosi verso il parcheggio, invocando il nome dell'amico. Non ci fu risposta. Né tantomeno Vincente gli venne incontro.
Arrivò alla macchina e la trovò abbandonata con i quattro sportelli aperti. Si sedette sul parabrezza ancora intontito.
Stava per accasciarsi al suolo stremato.
Riuscì a malapena a intravedere i fari di una macchina che si stava avvicinando.
Essa si fermò davanti a lui abbagliandolo. Riconobbe solo la sagoma di una persona scendere dalla vettura. Poi più nulla...
(fine seconda parte)

comunicato n.172851




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