Una povera mamma medica il figlio che si era sbucciato un ginocchio cadendo, recitando anche un'Ave Maria. Venne trasformata in strega...
Anche i bambini furono ingiuriati al grido di "figli di Satana" e allontanati dalla loro madre. Nessuno dei presenti sembro' provare un minimo di pieta' di fronte alle angherie del cardinale ed alle grida strazianti della madre e al pianto dei bambini che venivano allontanati da lei. Ma le cose potrebbero mutare... scrivono De Lipsis e Palmieri nella seconda parte de "La pazzia del cardinale"
Nostro servizio
Luca De Lipsis, uno dei due autori di questi fortunati racconti che "Gazzetta" pubblica il sabato, nell'inviarci la seconda ed ultima parte de "La pazzia del cardinale" con una trama avvincente, ci ha detto che con la seconda pubblicazione, la prima puntata di questo nuovo racconto, siamo "ancora" a poco più di duemila visualizzazioni mentre il primo testo, "L'artista smarrito", peraltro ancora in pagina, ha superato le tremila visualizzazioni.
Abbiamo detto a De Lipsis di considerare che sono numeri comunque altissimi (egli, come gli altri autori che ospitiamo con i loro interventi, godono comunque di una platea di lettori che produce oltre 100mila visualizzazioni giornaliere, così alti sono oramai i numeri di "Gazzetta") visto che sono generati per la lettura di un testo (peraltro senza vignette o foto accattivanti...).
E dunque prosegua De Lipsis a dare sfogo alla sua fantasia.
I lettori lo stanno sostenendo generosamente ed i risultati sono ottimi.
Noi siamo molto contenti degli esiti in una città che peraltrro si candida ad essere Capitale della Cultura.
Godiamoci allora questa seconda parte del racconto fatto di intrighi e di stregonerie...
LA PAZZIA DEL CARDINALE Seconda ed ultima parte
Così fu. Il cardinale si mischiò alla folla fingendosi un avventore.
Soffermandosi a osservare la merce, attendeva il momento in cui venisse fuori qualcosa di sospetto.
Per quanto la sua azione fosse drastica e non avesse un fondamento logico, era l'unico modo per sfogare la frustrazione accumulata.
Passeggiava nervosamente come un cane affamato in cerca della preda. Non curandosi degli altri passanti, li spingeva senza ritegno, scatenando malcontenti e accenni di risse.
Dopo ore di ricerca, stava quasi per desistere quando, da lontano, notò una donna molto bella che giocava con due bambini e rideva con loro.
Si avvicinò e attese.
I bambini si rincorrevano e saltellavano di qua e di là. Ella li rimproverava con tono indulgente ammonendoli che avrebbero potuto farsi male.
Uno dei bimbi, nel correre, cadde e si sbucciò il ginocchio. Alla vista del sangue gridò e piangendo accorse verso di lei: "Mamma, mamma, mi fa male, vedi? Esce il sangue, aiutami, ti prego... Non lo faccio più".
La giovane donna lo abbracciò e cercò di tranquillizzarlo, poi trasse dal seno un piccolo pacchetto da cui prese della polvere e la cosparse sulla ferita, recitando delle invocazioni incomprensibili. Il cardinale non aspettava altro.
Si tolse il cappuccio per rendersi riconoscibile e attirò l'attenzione sulla scena gridando: "Strega, strega, sei una strega!"
Tutti gli astanti lasciarono le loro occupazioni e accorsero presso di loro. Il bambino, impaurito, piangeva ancora più forte.
La donna, sentendosi in pericolo, cercò di spiegare che stava recitando un'Ave Maria. A lui non importava: Qualunque cosa stesse recitando, ormai aveva ciò che gli serviva. Non faceva alcuna differenza.
Gli serviva una strega e quella povera malcapitata si era trovata, certamente, in una situazione sfruttabile.
Con voce sicura declamava le accuse, spiegando agli altri ciò che voleva credessero, senza permettere alla donna di difendersi.
Uno dei presenti lo riconobbe. "E' il cardinale, è il cardinale!"
Quando tutti lo ebbero individuato non ci furono obiezioni: La povera mamma che medicava il figlio recitando l'Ave Maria era stata trasformata in strega.
I presenti, desiderosi di distinguersi e sperando di ricevere l'attenzione dell'eminenza, si affrettarono a legarla, colpendola ogni volta che provava a difendersi.
Anche i bambini furono ingiuriati al grido di "figli di Satana" e allontanati dalla loro madre.
Sentito il clamore, alcune guardie giunsero sulla scena. Il cardinale diede loro ordine di condurre la donna nelle segrete dell'episcopio. I figli sarebbero stati affidati all'orfanotrofio.
Forse per paura di essere accusati a loro volta, o contagiati dal malefico delirio del cardinale, nessuno dei presenti sembrò provare un minimo di pietà di fronte alle grida strazianti della madre e al pianto dei bambini che venivano allontanati da lei.
Le guardie scortarono il cardinale fino alla Cattedrale, aprendosi un varco tra la gente festante.
Gli applausi lo avevano risollevato, scrollandogli di dosso la tensione. Ma, giunto nei pressi della chiesa, trovò il vicario ad attenderlo.
Con deferenza, questi gli si rivolse con tono deciso: "Eminenza, vi prego... basta. Basta con tutto questo. Stiamo torturando e uccidendo le nostre contadine, le nostre madri, le nostre sorelle in Cristo.
Brave donne del popolo, innocenti, che non possono e non sanno difendersi!"
"Silenzio!" rispose, "come osate rivolgervi a me in questo modo? Qui si fa come dico io, è il volere del Papa, è il volere di Dio! Ora basta, non fatemi perdere tempo prezioso, ho un processo da istruire!"
A quelle parole il vicario si fece da parte e disse a denti stretti: "L’avete voluto voi!"
"Come? Cosa avete detto?"
"Sia fatta la volontà di Dio", rispose. "Così sia.”
Rimasto solo, il cardinale cominciò ad adoperarsi per iniziare al più presto l'interrogatorio e le torture. Gli avvenimenti della giornata lo avevano scosso molto.
Mai nessuno prima aveva osato esprimere dissenso, men che meno la gente del popolo e i parroci di campagna.
Gli affronti subiti erano stati intollerabili, ma avevano aperto una crepa profonda tra lui e il modo ecclesiastico, dalle conseguenze imprevedibili.
Quella sera si ritirò nelle sue stanze dove ordinò che gli fosse servita la cena. Mangiò poco. Bevve molto vino. Stordito andò a letto.
Nonostante i fumi dell'alcol gli avessero annebbiato la coscienza, non riusciva a prendere sonno, tali erano le paranoie che si facevano strada nella mente.
Si dimenava, cercando di scrollare i muscoli dalla tensione. D'un tratto, distratto da un rumore, fissò gli occhi al soffitto.
Un lontano ronzio si sovrappose gradualmente al silenzio notturno.
Quel mormorio divenne sempre più vicino, fino a quando poté udire chiaramente una giaculatoria recitata.
"Il vino fa brutti scherzi" pensò e, mentre si alzava per andare a prendere un bicchiere d'acqua, iniziò a vedere delle ombre volteggiare sopra di lui. Rimase bloccato ai piedi del letto. Non riusciva più a muoversi. Provò a parlare ma la voce si fermò in gola.
Si ritrovò paralizzato, impossibilitato a ogni accenno di fuga.
Il cuore cominciò a impazzare come un mare in tempesta quando si accorse che le vesti che indossava si erano tinte di rosso. Nell'aria aleggiava un odore pesante di sangue.
Guardò nuovamente il soffitto e vide che strane ombre si avvicinavano a lui sempre più minacciose. Esse lo sollevarono distendendolo in aria. Il corpo del cardinale non oppose alcuna resistenza. Sentiva le vene del collo e della fronte tese per l’afflusso di sangue.
Iniziò a muoversi passivamente, spinto dalle oscure presenze che lo trascinarono fuori dalla finestra, verso la campagna.
Terrificato osservava il paesaggio sottostante, cercando di dare una spiegazione a quel rapimento. Anche la Dormiente, vista dall'alto, incuteva spavento. Poi, nel mezzo della valle, percepì un rallentamento. Fu condotto a terra e adagiato su un tavolone di legno.
Nel preciso istante in cui toccò la superficie fredda del bancone le ombre si dissolsero. Finalmente fu in grado di acquistare il controllo del proprio corpo. Con le mani tastò la superficie liscia su cui si trovava. Si sedette, guardò intorno a sé. Sembrava non esserci nessuno. Si guardò le mani. Erano insanguinate. Anche il tavolo su cui giaceva era completamente ricoperto di sangue.
"Aiuto, qualcuno mi aiuti" piagnucolò e stavolta il suono della voce si diffuse nell'aria. A un tratto, il prato davanti a lui cominciò a prendere fuoco. Si trasformò in un grande falò.
La luce lo accecò a tal punto che dovette coprirsi gli occhi con il braccio per non essere abbagliato.
Aveva paura di riaprirli ma la percezione di una nuova litania lo incuriosì. Dalla luce del fuoco vide uscire in processione delle figure indistinte. Avvicinandosi a lui, quelle fisionomie si arricchivano di particolari. Cominciò a distinguere numerose donne. G
li sembrava di averle già viste. Mentre tremava per lo sgomento, la processione si fermò.
L'ultimo della fila, un uomo alto e smunto, dall'età imprecisabile gli si avvicinò chiedendogli con ghigno malefico: "Sei tu Anselmo Guia?"
Con voce tremante il cardinale rispose affermativamente e, mentre si accingeva a chiedere la ragione di ciò che stava succedendo, un dolore lancinante gli attraversò le membra, bloccandone la domanda.
"Risponderai solo al mio interrogatorio!" gli disse l’uomo. Il cardinale raggelò.
Fino ad allora non aveva mai dovuto avere paura di nulla. Ciò che provava ora era quanto di peggiore potesse immaginare.
Una donna gli si accostò e, rivolgendosi all'uomo che aveva chiuso la processione, prese a elencare le accuse.
Si meravigliò di come fosse possibile che quel consesso conoscesse particolari noti solo a lui, ma il dolore che provava ogni volta che tentava d'interrompere l'elencazione lo fece desistere da ogni opposizione.
Durante la lettura furono pronunciati i nomi di tutte le donne che aveva torturato e ucciso. Alcune neanche le ricordava più.
L'uomo chiese al cardinale di confermare ciò che aveva sentito. Egli rispose che non ricordava. L'altro ghignò.
In quel momento, magicamente, tra i bagliori del fuoco si materializzò l'immagine di una culla, all'interno della quale era riposta una bambina.
In quel preciso istante, il prelato ricordò le angherie perpetrate nei confronti della sorella, rivista in quella immagine.
Come se la scena riflettesse i ricordi del prelato, subito si rivide lui da bambino, nell'atto di prendere la sorella e farla cadere in terra. Un colpo secco e dolentissimo investì il naso del cardinale.
Tra le lacrime egli tamponò con le mani il sangue che iniziava a scendergli dalle narici. Ancora stordito per il colpo in faccia, avvertì ripetutamente dolore alle gambe. Se le guardò. Sanguinavano in più punti.
Una nuova scena fuoriusciva dalla pira: Lui stesso, cresciuto, con in mano dei pezzi di vetri rotti, in procinto di sfregiare le gambe delle serve di famiglia.
A quel punto capì. Stava rivivendo in prima persona ogni sofferenza che aveva inflitto. Gridò ai presenti di interrompere le macabre visioni ma non fu ascoltato.
Le immagini non si fermarono, anzi, presero a scorrere sempre più velocemente, mentre lui si dimenava tra atroci dolori.
Per un attimo sperò di morire e mettere fine alla tortura. Tutte le malefatte da lui compiute venivano riproposte, dalle meno truci fino alle torture inquisitorie.
Quelle azioni si stavano rivoltando contro di lui. Disperato, si augurò l'arrivo della morte, il prima possibile, ma non ebbe nemmeno questa grazia. Un terrore profondo e incontrollabile lo invase. Implorò misericordia.
La preghiera risultò vana, come vane erano state le tante implorazioni a lui rivolte durante i processi inquisitori.
Sapeva che sarebbero giunte le condanne da lui inflitte ai peccatori ma l'idea di essere arso vivo gli fece emettere ancora un grido di paura.
"Basta, vi prego!" disse all’uomo, ma questi, con un cenno del capo, negò tale richiesta. E, come il cardinale aveva sospettato, dopo quel rifiuto comparve la scena di un rogo.
Il cardinale accusò un dolore mai provato, sentì la pelle scaldarsi, si guardò le mani e le braccia e le vide arrossarsi.
Lo investì un'ondata di calore, l'aria respirata si fece rovente, cuocendogli la gola e i polmoni. Vide lui stesso tra le fiamme ardere vivo, mentre i muscoli carbonizzati scoprivano le ossa nere.
Le sofferenze durarono fin quando non si consumò tutta la carne. Vide uno scheletro nero appeso al palo.
Non si era ancora ripreso dal tormento che fu la volta di un'altra condannata. Gli apparve una donna nuda, legata su di un tavolo di legno. Improvvisamente comparve un torturatore che le scagliò una grossa mazza sul braccio destro.
Come se fosse stato colpito in prima persona,
Il cardinale provò una fitta lancinante all'altezza del suo arto superiore destro e gridò per il tormento. Il boia sferrò un altro colpo, un altro e un altro ancora, emettendo risa sguaiate, sovrastate dalle urla del prelato.
All'ultimo affondo Guia scattò dal letto. Riacquistò i sensi. Si guardò intorno e accennò una risata distensiva.
Capì di aver vissuto un incubo, sebbene fosse stato così reale.
Guia, ancora stravolto, si stava approcciando a recitare il rosario quando un colpo secco alla porta lo fece sussultare.
Sudato e tremante si alzò per chiedere chi fosse a quell'ora e cosa avesse di tanto urgente da dire. Aprì la porta. Era il vicario, aveva l'aria profondamente provata. Contrariato gli disse di tornare l'indomani.
Questi entrò di forza e gli consegnò una bolla con sigillo papale senza dire nulla.
Il cardinale la prese e con una certa ansia ruppe il sigillo. Lesse e, man mano che andava avanti, spalancava sempre più gli occhi. Incredulo rilesse, poi con rabbia chiese al vicario: "Come l'avete avuta?"
"Sono partito stamattina, subito dopo aver parlato con voi. Non è più possibile continuare così. Non posso più vedere altre donne torturate e uccise da voi.
Già da tempo informo la Curia di ciò che state facendo. Ora... ora basta!
Domani andrete a Roma a rimettere il vostro incarico nelle mani del Santo Padre e affiderete a lui la vostra anima. Intanto ho dato ordine di liberare la vostra ultima vittima".
Dette queste parole, uscì senza attendere replica, richiudendo la porta. Il cardinale rimase qualche istante immobile, pietrificato.
Poi, in un impeto di ira, cominciò a scagliare ogni cosa in aria, vasi, bicchieri, libri, sedie. Sapeva bene ciò che avrebbe causato la sua destituzione. Non avrebbe avuto più alcun potere.
Avrebbe vissuto il resto della sua vita in penitenza perpetua in un lontano monastero isolato dal mondo, sopravvivendo di stenti.
La bolla aveva effetto immediato e la disposizione del vicario non poteva essere contraddetta.
"Sto ancora sognando, è solo l'incubo di prima" ripeteva agitato. Furioso prese la bolla pontificia e la buttò nel camino. Pur essendo spento la bolla prese fuoco. Non si capacitò di questo nuovo maleficio.
La lettera ardeva, alzando un fumo acre che riempì tutta la stanza. Improvvisamente il cardinale vide quel fumo prendere forma. Sgomento si paralizzò in attesa di capire se fosse la sua rabbia a suggestionarlo.
Una fisionomia femminile si materializzò dalle spire. Esterrefatto indietreggiò. Era Linda. Non più bella come una volta. Il suo viso appena riconoscibile. Il corpo ricoperto di piaghe. Balzò indietro, terrificato.
Lei iniziò ad accusarlo: "Vedi cosa mia hai fatto? Perché? Perché?"
"Va' via! Via!" gridò il prelato.
Corse a prendere dell'acqua santa, chiuse gli occhi in preghiera, poi asperse la stanza. Quando li riaprì, lei era ancora lì: "Vedi cosa mi hai fatto? Perché? Perché?"
"Io... Io non..."disse con voce tremante, "io... Lasciami stare!" gridò. Aveva paura, non sapeva se i sensi lo ingannassero o fosse tutto reale.
Linda prese ad andare lentamente verso di lui. Egli indietreggiava. Dietro di lei presero a comparire altre figure.
Altre donne, alcune irriconoscibili, dirigendosi lentamente verso di lui chiedevano in coro: "Vedi cosa mi hai fatto? Perché? Perché?" "Io... io non..." rispondeva incredulo il cardinale.
"Lasciatemi, andate via!" gridava lanciando loro schizzi d’acqua santa. Dal gruppo si staccò una donna, l'unica a non mostrare segni di tortura. Lo chiamò: "Anselmo, Anselmo".
"Chi è? Chi è?" chiedeva con voce insicura mentre con gli occhi cercava di capire da dove venisse la voce. "Chi sei?"
"Sono io, tua madre". A quelle parole il cardinale si irrigidì. Incrociò lo sguardo della donna. La fissò.
La rabbia montò dentro di lui e con un impeto d’ira le si rivolse contro. "Cosa vuoi?" disse, mentre le altre donne si disposero in cerchio attorno ai due interlocutori.
"Con la tua perfida fantasia hai mutato la realtà che ti circonda a tuo uso e consumo. Ti sei creato un mondo immaginario di streghe per erigerti ad angelo persecutore.
Anche a costo di annientare gli affetti più cari. Hai voluto vedere ciò che la tua sporca coscienza ti imponeva di vedere. Hai voluto agire dando conto solo ai tuoi più beceri progetti.
Ma la sete di potere ti sta annientando. Pentiti se vuoi la nostra indulgenza".
"Io sono un uomo di Chiesa, sono arbitro della giustizia. Il mondo è sprofondato nel peccato e nella menzogna. Sto solo cercando di porre rimedio".
L'immagine (ma era un'ombra o era reale?) continuò: "Sei tu l'incarnazione del male. Sei tu l'odio, l'invidia e l'avidità. Non c'è posto nel tuo cuore per l'amore e per l'amicizia. Perché? Perché?”
"Perché? Perché?" ripresero in coro le ombre. Guia era fuori di sé. La bocca gli si storceva, colando di lato una spuma biancastra. Gli occhi roteavano terrorizzati.
"E' colpa tua" replicò il prelato oramai invasato "sei tu l'origine di tutto. Sei tu che mi hai lasciato solo. Vi odio tutte. Sporche megere, avide di piaceri. E dovrei chiedere perdono a voi? Spiegare a voi la gioia che provo al suono delle vostre urla?
L'ho fatto e lo rifarei ancora. Solo io posso estirpare il male. Solo io devo estirpare il male. Io il puro, io il perfetto. Non ho mai commesso peccati. Non devo chiedere perdono a nessuno. Tornatene all'Inferno, figlia di Satana. Continua a bruciare nel fuoco".
Preso da un deliro di onnipotenza iniziò a muovere convulsamente alla cieca le braccia, dopo aver brandito un candelabro posto su uno scaffale.
"Vi ammazzo, vi scomunico, vi torturo. Solo le fiamme purificatrici della Chiesa sono per voi. Solo Anselmo Guia vi può purificare".
L’immagine della madre si dissolse, mentre le altre sagome ripresero ad avanzare verso di lui, ripetendo la solita litania: "Perché? Perché?"
Il cardinale, terrorizzato, le vedeva avanzare. Non sapeva come scappare. Retrocesse fino a raggiungere il balcone. Lo aprì per uscire, nella stanza non c'era più spazio. Le donne si avvicinarono circondandolo. Indietreggiò ancora. "Perché? Perché?"
"Lasciatemi! Andate via!" gridava Guia tremando. Arretrò. Avvertì la balaustra del balcone poggiarsi sul fondoschiena. Non aveva più spazio. L'assordante, incessante litania continuava: "Perché? Perché?"
Le donne si avvicinavano inesorabili. Sentiva la loro puzza di morte soffocargli il respiro. Si ritrasse. Le aveva addosso. Spingevano. Salì sulla ringhiera. La paura offuscava ogni ragionamento. Disperato pensò di saltare. Mentre si preparava a lanciarsi percepì una spinta. Si sbilanciò. Cadde all'indietro. Un tempo, che gli sembrò interminabile, lo separò dall'impatto con il suolo.
Ebbe modo di incrociare lo sguardo di ogni donna vittima della sua perfida ossessione. Poi ci fu il colpo. Cadde battendo la testa e la schiena.
Con l'impatto sentì lo scricchiolamento di tutte le ossa del corpo. Gli mancò il respiro. Dalla nuca iniziò a uscire il sangue che, scorrendo, lo bagnò fino alle gambe. Le donne erano ancora lì, lo circondavano. Avrebbe voluto scappare. Ma era paralizzato.
Impossibilitato a ogni difesa. Si arrese. Mentre la vista si offuscava vide ombre volteggiare su di lui agonizzante. Bisbigliavano parole incomprensibili.
Anselmo Guia morì, chiedendosi se fossero streghe o fantasmi della sua coscienza.
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