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Benevento, 12-08-2025 10:04 ____
Torna ad infiammarsi la querelle tra potere politico e potere giudiziario dopo le scaramucce sulla separazione delle carriere dei magistrati
Agli organi politici dotati di legittimazione democratica, Governo e Parlamento, spetta assumere le decisioni essenziali mirate alla realizzazione del bene comune, nel rispetto, ovviamente, delle norme del diritto positivo, costituzionali ed ordinamentali. Al giudice, organo-potere indipendente e' rimesso invece il diverso compito di sanzionare il mancato rispetto delle leggi, da parte dei cittadini come anche dell'autorita' pubblica. Lo scontro istituzionale cessi quanto prima. Il rischio e' di minare in fondo il mantenimento del consenso e della fiducia dei cittadini verso lo Stato, mettendone in pericolo perfino l'esistenza
di Vincenzo Baldini, docente di Diritto Costituzionale
  

In questi giorni torna ad infiammarsi la querelle tra potere politico e potere giudiziario, dopo le scaramucce e i continui rinfacci che hanno accompagnato e stanno ancora accompagnando l'iter parlamentare del Disegno di Legge (Ddl) costituzionale sulla separazione delle carriere dei magistrati.
Terreno di scontro, ora, sono due questioni di peculiare importanza.
La prima riguarda l'arresto (irrituale), il rilascio e l'immediata espulsione del generale libico Almasri, colpito da mandato di arresto emesso dalla Corte Internazionale Penale che ne reclamava la consegna dal nostro Paese.
Il ministro della Giustizia, Nordio, nella sua informativa alla Camera su tale vicenda, ha sottolineato la condotta di una “certa magistratura sciatta” che accusa organi di Governo “senza leggere le carte”, rivendicando poi il suo ruolo politico in quanto ministro.
La seconda questione ha a che fare con la recente sentenza del 1° agosto scorso della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (Ue), emessa in seguito a rinvio pregiudiziale del Tribunale di Roma, riguardante la Direttiva 2013/32/Ue sulle "Procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale", per quanto attiene in particolare alla determinazione del cosiddetto "paese di origine sicuro".
Nello specifico, la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Roma - Sezione procedure alla frontiera II (Italia), aveva respinto la richiesta di protezione di due cittadini della Repubblica del Bangladesh sostenendo che provenivano da un Paese di origine sicuro, secondo il dettato del Decreto Legge numero 158/2024 (recante "Disposizioni urgenti in materia di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale").
Il presidente del Consiglio dei Ministri ha denunciato l'esistenza di "un disegno dietro alcune decisioni della magistratura", alludendosi ad una volontà del potere giudiziario d'interferire nella gestione politica dei fenomeni migratori.
Non è lo spazio di una chiosa giornalistica quello più adatto per indulgere in precisazioni tecnico-giuridiche, né sarebbe questo l’intento specifico di chi scrive.
Si vuole, invece, concentrare il fuoco dell'attenzione piuttosto sui potenziali esiti negativi di ciò che appare come un conclamato scontro interistituzionale tra potere politico e poteri di garanzia, nello specifico tra il Governo e la Magistratura giudicante.
In proposito, va evidenziato come nello Stato costituzionale democratico di diritto tali poteri, seppure funzionalmente differenti, debbano necessariamente correlarsi e risultare integrati in un contesto sistemico di equilibrio idoneo a garantire efficienza ed operatività, sul versante dell'azione politica come su quello della difesa di diritti e libertà individuali.
Agli organi politici dotati di legittimazione democratica (in primis, Governo, Parlamento) spetta in primo luogo di assumere le decisioni essenziali mirate alla realizzazione del bene comune, nel rispetto, ovviamente, delle norme del diritto positivo, costituzionali ed ordinamentali.
Al giudice, organo-potere indipendente (articolo 101 Costituzione), è rimesso invece il diverso compito di sanzionare il mancato rispetto delle leggi, da parte dei cittadini come anche dell'autorità pubblica e, nel caso sussistano i presupposti, di sollevare una questione di legittimità costituzionale.
In un tale sistema preordinato, a garantire la funzionalità ed efficienza dello Stato costituzionale democratico di diritto un ruolo essenziale, oltre (e, forse, prima ancora) che dalle norme del diritto positivo (costituzionale, legislativo eccetera) è svolto da fattori extra-giuridici, innanzitutto dal consenso e dalla fiducia generalizzata dei singoli componenti la comunità sociale verso le istituzioni dello Stato.
Del resto, è in un tale rapporto tra l'organizzazione dello Stato e la sua base sociale che si rinviene l’origine stessa della giuridicità della condotta statale.
Ma l'acquisizione e il mantenimento del consenso sociale non è un dato statico, esso è piuttosto un esito dinamico, favorito dal soddisfacente rendimento soddisfacente delle stesse istituzioni e dalla capacità di queste ultime di operare in un quadro di reciproco riconoscimento e legittimazione.
Uno scontro tra poteri che diventi strutturale rischia, così, di minare in fondo il mantenimento del consenso e della fiducia dei cittadini verso lo Stato, mettendone in pericolo perfino l'esistenza.
Una tale repentina perdita di credibilità e capacità operativa non potrebbe essere compensata od ovviata nemmeno da una Carta Costituzionale direttamente forgiata dagli dei dell’Olimpo!
E' bene, allora, che lo scontro istituzionale cessi quanto prima.
Le sentenze dei giudici (anche del giudice costituzionale) possono senz'altro essere fatte segno di critica anche da parte di attori politici ed istituzionali ma tale critica non deve giungere a porre in pregiudizio il dovuto reciproco rispetto e riconoscimento di tali poteri quali presidi indefettibili dell’organizzazione dello Stato.
Tra questi ultimi deve sussistere una relazione improntata alla leale collaborazione, come spesso anche la Corte Costituzionale ha sottolineato, nel rispetto delle rispettive funzioni e competenze.
Una delegittimazione reciproca e continuata avrebbe solo l'effetto d'indebolire pesantemente i gangli vitali dello Stato di diritto che è un'acquisizione della storia moderna a tutela della persona ed al quale, ancora oggi, non sembra esservi alcuna alternativa, nemmeno a livello sovranazionale.

comunicato n.172582




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