L'urbanistica di Milano e le indicazioni di Carlo Ratti, offrono l'opportunita' di ragionare delle citta' e della rigenerazione
Riflessione utile sopratutto riguardo il rinnovamento dei grandi centri. Il pilastro del mio contributo e' che l'ingegneria, l'architettura e l'urbanistica sono i motori delle trasformazioni che non sono neutrali rispetto alle scene della quotidianita', agli abitanti che percorrono i quartieri a piedi o in auto, per lavoro o per svago, commenta Vincenzo Carbone
Redazione
Vincenzo Carbone, architetto, ci inviato una nota con delle riflessioni sulla questione urbanistica.
"Egregio direttore - scrive - è un lavoro difficile quello dell'architetto, appunto, sempre sospeso tra concretezza e idealità.
Così, anche la questione urbanistica di Milano è difficile da traguardare, perché sembra oscillare tra la indubbia bellezza del nuovo skiline delle torri che disegnano lo sfondo di Milano e il futuro con i dilemmi.
In un recente intervento sulla Stampa, Carlo Ratti del Politecnico di Milano, fra l'altro, evidenzia la necessità per Milano di riformare il processo valutativo dei progetti edilizi ed urbanistici, da affidare ad una discussione aperta e partecipata.
L'urbanistica di Milano e le indicazioni di Ratti, offrono l'opportunità di ragionare delle città e della rigenerazione.
Soprattutto del rinnovamento delle grandi città, dove la rigenerazione sembra aver fatto da ombrello.
Il pilastro del mio contributo è che l'ingegneria, l'architettura e l'urbanistica sono i motori delle trasformazioni che non sono neutrali rispetto alle scene della quotidianità, agli abitanti che percorrono i quartieri a piedi o in auto, per lavoro o per svago.
Per questo vanno scandagliati i punti di vista.
Ci sono modi diversi di percepire i quartieri.
Ci sono quartieri la cui forma è da tempo cristallizzata, ma vivi; quartieri che hanno cambiato il ruolo; quartieri dove la comunità si riconosce e dove non si riconosce; aree dove il rinnovamento urbano ha aumentano le differenze, espellendo gli abitanti per i costi.
La storia ci ha consegnato quartieri compiuti: i siti antichi e quelli del razionalismo italiano, che hanno interessato città e comuni, in un periodo travagliato.
L'impostazione prevedeva un’urbanistica compiuta, con viabilità, scuole, giardini, chiese, negozi.
Inizialmente erano quelli Ina, poi quelli della legge 167 come a Bologna con Giuseppe Campos Venuti con l'urbanistica riformista.
Anche Benevento, con il Rione Liberta, ha contribuito positivamente al rinnovamento.
Come tanti, quel quartiere continua ad avere ruolo. Anzi, si può concordare nel considerare il ruolo di porta, perché far entrare le persone. Alcune si fermano, altre lo attraversano.
E' una chiave di lettura corale, che evidenzia l'idea di comparare gli impianti razionalisti, il rinnovamento delle città, i modelli come Milano che hanno attratto investimenti.
Tre modelli, lontani dalle torri di Milano, ma all’epoca ugualmente sospesi tra realtà e futuro.
Il primo riguarda le architetture di Adriano Olivetti che ha riacceso i riflettori sul modello di housing sociale, valido ma dimenticato.
Il secondo è l'Unità di abitazione orizzontale del quartiere Tuscolano di Roma, di Adalberto Libera, oggi di valore architettonico.
Il terzo è il quartiere la Rosta Nuova di Reggio Emilia, di Franco Albini e Franca Helg, in continuità con l’antico. Oggi, chi va a Reggio Emilia, va a questo quartiere uscendo dalla Stazione ferroviaria di Santiago Calatrava.
Ma che importa, se ci va prima o dopo.
Il quartiere di Franco Albini (come gli altri), è ancora oggi vivo.
La domanda è, perché questi quartieri dopo anni sono riferimenti per l'urbanistica?
Perché hanno realizzato "frammenti di città": non solo residenze, ma servizi di pubblici, negozi, scuole, chiese e strade.
Per tratteggiare il valore di Rosta Nuova (ma anche degli altri) va citato Ernesto Rogers, progettista della Torre Velasca a Milano.
Un suo editoriale, recentemente ripreso per la modernità dei contenuti, ha un titolo intrigante nonostante gli anni: "la responsabilità verso la tradizione".
Scriveva: "E' giunto il momento di stabilire le relazioni tra la tradizione popolare e la tradizione colta per saldarle in un'unica tradizione".
La modernità sta in questo pilastro. Ancora oggi.
Oggi, come ieri, le città, sono impegnate nella ricerca di modelli abitativi cercando di non oscurare l'inclusione sociale e non alimentare processi di espulsione.
Questo impegno pone giuste domande.
La società di 50 anni fa era meno complessa di quella di adesso, anche le città erano meno complesse. Oggi, tutto appare più liquido.
Le esperienze sociali sono segnate da caratteristiche che si decompongono e ricompongono rapidamente, e anche la forma urbana e le destinazioni urbanistiche si adattano (non sempre con giudizio) a questo gioco della forma.
Questa caratteristica, ci deve interrogare. Tenendo conto che le dinamiche delle città piccole sono meno gravose di quelle delle città grandi, o delle città-stato, come è definita Milano.
Il dubbio è il seguente.
La strategia urbana di prossimità (oggi di Carlos Moreno e ieri di Albini e Piccinato) è sufficiente a traguardare il futuro delle città, a risolvere la socialità e la sicurezza nei quartieri o nelle stazioni?
La strategia di prossimità pubblica fa la differenza tra l’urbanistica riformistica e quella liberista?
Chi stabilisce se in un'area della città sono necessari le torri o le case?
Chi stabilisce se in un'area è necessario densificare?
E' opinione di molti che la strategia della prossimità urbana e della transizione ecologica non marca la differenza tra le due culture, perché il benessere è dell'intera comunità.
La differenza tra le due culture è marcata nell'equilibrio o meno del disegno, e nell’equità o meno nel regime dei suoli. L'equilibrio si traduce in bilanciamento degli interessi e funzioni.
L'equità, invece, si traduce nel contrastare la disparità nelle destinazioni.
Il Comune ha la sovranità del governo del territorio. La esercita con la pianificazione, anche nell'approccio flessibile. I privati, osservano gli indirizzi pubblici nelle sperimentazioni, nelle compensazioni, nella mixetè e nella qualità.
Quindi, Carlo Ratti ha ragione.
La sovranità del comune dà alla pianificazione primato.
La valutazione degli interventi urbanistici assume rango attuativo semplificato, accoppiando la coerenza delle regole performative alla conformità della partecipazione.
L'equilibrio aiuta a dirimere un'altra domanda. I quartieri del razionalismo sono frammenti di città. Allora, anche le aree della rigenerazione devono essere concepite così?
Secondo me, la visione è che l'area della rigenerazione è da considerare una micro-urbanità e l'equilibrio va verificato rispetto al quartiere.
Una micro-urbanità può anche essere esclusiva (torri o altro), a condizione però che il quartiere sia equo, ed a condizione che la decisione sia stata partecipata.
Questo è il pilastro di Ernesto Rogers".
comunicato n.172492
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