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Benevento, 12-06-2025 22:09 ____
La "Fiaccolata per la Pace" e' silenziosamente giunta a piazza Santa Sofia. Soddisfatto l'arcivescovo Accrocca per una partecipazione non scontata
Cosi' come ha richiesto il vescovo, non ci sono state bandiere o simboli di appartenenza. Duro il discorso del prelato che ha denunciato le connivenze con i venditori di morte. Quante armi vengono inviate dall'Italia in Africa, in Asia o in America Latina? A chi sono vendute? In quali mani vanno a finire?
Nostro servizio
  

L'arcivescovo Felice Accrocca si è dichiarato molto soddisfatto della partecipazione, non scontata, alla "Fiaccolata per la Pace" che, partita dalla Cattedrale, è giunta, silenziosamente, fino a piazza Santa Sofia dove il prelato ha letto il discorso che segue e che proponiamo in maniera integrale.
Non è stata una partecipazione oceanica, intendiamoci e certamente non all'altezza di una città e di una Diocesi come quella di Benevento.
Tuttavia la metà di piazza Santa Sofia è stata riempita e l'immagine che ne ha dato è stata confortante.
Così come ha richiesto il vescovo, non ci sono state bandiere o simboli di appartenenza.
Monsignor Accrocca ha ripreso, e non poteva essere diversamente, anche ciò che aveva già detto in mattinata alla manifestazione voluta dal sindaco Mastella e di analogo argomento, la pace nel mondo.
"Nell'introdurre il racconto sulla devozione dei Bianchi, un movimento che nel 1399 si irradiò per buona parte della penisola italiana, il cronista lucchese Giovanni Sercambi offriva un crudo quadro della situazione della cristianità all'alba del XV secolo: "Essendo tucto il mondo mal disposto et di molti peccati ripieno e acto a disfare l'uno paeze l'altro, e l'uno uomo l'altro, e non ponendosi freno a neuna cosa, à voluto la divina bontà dimostrare certo segno, per lo quale il mondo si coregha [...]. E poiché le signorie né i prelati né i savi non si muoveno, vuole la divina misericordia che in nelli huomini grossi et materiali si demostri la sua potentia", ha letto l'arcivescovo.
Da queste notazioni di Sercambi emerge una società fortemente in crisi; una crisi che toccava in profondità le realtà dominanti, le quali - annotava con dolore il cronista - "non si muoveno". La stessa dolorosa constatazione s’impone oggi, di fronte a lotte che dilaniano i popoli e mietono vittime innocenti, vecchi e bambini in primo luogo: più bambini, in realtà, perché in tante parti del mondo - a motivo di guerre, malnutrizione, epidemie - non si è così fortunati da invecchiare!
La stessa dolorosa situazione, gli stessi interessi di allora: sì, perché come allora alcuni (pochissimi) guadagnavano dalle lotte fratricide, anche oggi alcuni (pochissimi) lucrano dalle guerre guadagni enormi sulla pelle di molti.
E come alla fine del Trecento una voce di protesta e di sdegno si levò non dai potenti, ma da uomini incolti e dediti al lavoro, allo stesso modo vogliamo che oggi, poiché coloro che ne avrebbero il potere non lo fanno, dai piccoli si levi la voce dello sdegno, per dire: "Non nel mio nome".
Tacere non è più possibile rispetto a quanto sta accadendo a Gaza, in Ucraina, in tante zone dell'Africa e in altre parti del mondo, ahimè dimenticate da tutti.
Tacere non è più possibile, perché vorrebbe dire rendersi complici di uno stato di cose inaccettabile e intollerabile.
Non aggressività o rancore da parte nostra, che produrrebbero violenza ulteriore, ma lo sdegno dei piccoli di fronte alla crudeltà disumana di un numero ristretto di potenti, peraltro, sostenuti da un favore popolare nient'affatto generalizzato, ai quali altri, ancora più potenti di loro, consentono di comportarsi come stanno facendo per mero interesse personale e non solo di casta. L'interesse di pochi, pochissimi, che costa il sangue dei molti che colpa non hanno.
"Tutti noi dobbiamo avere timore dell'odio che degenera in vendetta - scrisse Paolo VI alle Brigate Rosse - o si piega a sentimenti di avvilita disperazione. E tutti dobbiamo temere Iddio vindice dei morti senza causa e senza colpa" (21 aprile 1978).
In forza di ciò, condanniamo senza riserve l'aggressione russa all'Ucraina e ribadiamo con chiarezza che in quella guerra c'è un aggredito e un aggressore e con la stessa forza, senza se e senza ma, condanniamo l'azione compiuta da Hamas il 7 ottobre 2023.
Non possiamo però non osservare che Hamas non è il popolo palestinese così come il governo Netanyahu non è il popolo d'Israele.
Non si può qualificare come sentimento antiebraico, lo diceva ieri anche il cardinale Pizzaballa, ogni critica avanzata alla politica di quel governo o di uno Stato.
Hamas inizierà davvero a declinare quando inizierà a crescere la cultura della convivenza e della pace, uniche condizioni per dare un futuro al popolo palestinese.
L'assistere inerti al massacro, perché il rimpallarsi le responsabilità equivale al lasciar fare, non giova a nessuno, neppure a chi da quel massacro non è stato ancora toccato, perché continuare a consentire ciò che si è consentito finora non fa che consolidare una logica predatoria che andrà sempre in cerca di nuovi obiettivi.
Una logica che contraddice alla vocazione più autentica dell’umanità, chiamata a imbandire la mensa per tutti, a perseguire una pace fondata sulla "convivialità delle differenze" (Tonino Bello). Non si continui perciò a tacere in nostro nome, perché non siamo più disposti a tollerarlo.
Non ha taciuto, d'altronde, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il quale, il 1° giugno di quest’anno, nel confermare il "fermo e convinto sostegno a Kiev", ha esortato: "Continuiamo a lavorare perché si possa giungere a una pace che sia giusta, complessiva e duratura".
E ancora, con riferimento alla situazione in Medio Oriente: "Che venga ridotta alla fame un’intera popolazione, dai bambini agli anziani, è disumano. E' grave l'erosione di territori attribuiti alla Autorità Nazionale Palestinese.
I palestinesi hanno diritto al loro focolare entro confini certi.
Questa prospettiva e la sicurezza di Israele, elementi imprescindibili, appaiono gravemente minacciate dalla semina di sofferenza e di rancore prodotta da quanto sta accadendo".
In tante altre parti del mondo, favorite dal silenzio assordante dei media, si stanno consumando eguali ingiustizie, tanto che, diceva Papa Francesco, ci troviamo ormai, e da tempo, di fronte a una terza guerra mondiale combattuta "a pezzi".
La guerra è sempre una sconfitta per l'umanità, poiché è ingiusta e fonte d'ingiustizie, favorita com'è da chi dalle morti e dalle distruzioni trae enormi guadagni.
Qui il discorso non può non soffermarsi sulle armi. Giovanni XXIII, nell'enciclica Pacem in terris, che può considerarsi come il suo testamento spirituale, metteva tutti in guardia dai rischi connessi a una politica degli armamenti (n. 59-63).
Paolo VI, nel suo discorso all'Onu, il 4 ottobre 1965, affermava: "Se volete essere fratelli, lasciate cadere le armi dalle vostre mani. Non si può amare con armi offensive in pugno.
Le armi, ancor prima che produrre vittime e rovine, generano cattivi sogni, alimentano sentimenti cattivi, creano incubi, diffidenze e propositi tristi, esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarietà e di utile lavoro, falsano la psicologia dei popoli".
Vogliamo quindi chiedere in modo esplicito, e vorremmo avere risposte chiare: Quanto è fiorente l’industria italiana delle armi?
Qualcuno, in modo occulto o attraverso sotterfugi più o meno noti, vende armi che poi finiscono alla Russia?
Si rispetta il Trattato sul commercio di armi adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 2 aprile 2013 e le proibizioni ivi contenute all’articolo 6?
A quanto ammonta l’annuale giro d’affari legato alla vendita di armi allo Stato d’Israele?
Quante armi vengono inviate dall’Italia in Africa, in Asia o in America Latina? A chi sono vendute? In quali mani vanno a finire?
Tuttavia, credo che dovremmo riflettere pure su quella che è la nostra vocazione autentica, quella che ci consegna una storia di millenni. L’Italia, patria delle arti, lo è stata anche del diritto: Roma lo produsse e l’insegnò alle genti; nell’Età di mezzo il diritto canonico e quello imperiale furono partoriti nelle università di Bologna e Napoli. Il nostro Paese faccia dunque oggi - con coraggio e determinazione - tutti quei passi che sono in suo potere perché chi calpesta in modo ripetuto e arrogante il diritto internazionale rispetti le risoluzioni dell’Onu (puntualmente ignorate) e rispetti il diritto umanitario: cosa dire, altrimenti, a quel medico palestinese, madre di undici figli, che in un colpo solo ne ha perduti nove per una bomba che ha sventrato la sua casa? Cosa dire a un popolo che si vede annientato e sente vociferare che su quella terra in cui ha abitato per secoli e secoli si progetta invece di realizzare un avveniristico polo turistico con resort e ville di lusso già promesse a potenti di varia estrazione?
Ormai quasi due secoli or sono, in pagine vibranti, anche se convulse e a tratti caotiche, Vincenzo Gioberti tratteggiò quello che, a suo dire, era il primato degli italiani rispetto all’azione e al pensiero. Nel suo libro Del primato morale e civile degli Italiani del 1843, l’autore si sforzava di combattere ogni forma di asservimento politico-culturale: l’Italia, scrisse nel Proemio, "da qualche secolo in qua s’inginocchia dinanzi ai forestieri, e non si reputa avventurosa, se non è calcata dal loro piede". Quel grido d’allarme vale ancora oggi, in un momento storico nel quale non credo sia necessario dimostrarsi oltremodo ossequiosi nei confronti di chi parla in modo rozzo e volgare, pur avendo responsabilità che non glielo consentirebbero, e scaglia parole come fossero pietre con una logica difficile da comprendere, ma che pure c’è e non è certo guidata dalla logica del bene comune.
Facendomi eco della voce di papa Leone XIV, ripeto a tutti che il mondo ha bisogno di «una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante». Faccio dunque proprio il suo invito: "Aiutatemi anche voi, poi gli uni gli altri a costruire ponti, con il dialogo, con l’incontro, unendoci tutti per essere un solo popolo sempre in pace" (8 maggio 2025).
Dio vi benedica tutti e vi renda merito per aver preso parte a questa fiaccolata, per aver voluto, con la vostra presenza, dire "basta" allo stato attuale e scandaloso delle cose!", ha concluso mons. Accrocca.

  

  

  

  

  

  

  

comunicato n.171385




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