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Benevento, 26-05-2024 09:46 ____
Talvolta trovarsi coinvolti in fatti giudiziari e' come essere dinanzi ad una lotteria. Stimolo alla riflessione dalle parole di Raffaele Della Valle
Si e' quasi su una giostra, da cui si puo' scendere con l'onore restituito oppure infangati fino a sopra i capelli ed in ultimo, non avendo trovato giustizia, nella sera della vita, ho imparato a dosare tutto, parole, amici e fiducia, commenta Peppino De Lorenzo
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Dopo il positivo riscontro del convegno in tema di errori giudiziari tenutosi ieri, organizzato dall'Ordine degli Avvocati di Benevento, di cui "Gazzetta" fa un resoconto in altra parte del giornale, interviene, a commento, Peppino De Lorenzo (nella foto è con Raffaele Della Valle).
Il parere nei confronti della giustizia locale non è, di certo, privo di toni forti, anche con il racconto di esperienze personali.
Di qui, un invito alla riflessione.
Per avere la possibilità di esternare il suo pensiero, che rimane, è ovvio, suo, arricchito, si ripete, anche di personali esperienze decisamente negative, De Lorenzo, questa domenica, dopo tanti anni, interrompe, per la prima ed unica volta, la sua rubrica in cui narra fatti e personaggi del nostro territorio con l'impegno di riprenderla la prossima settimana.
"Ieri, con vivo interesse, ho partecipato all'incontro in tema di errori giudiziari e poiché la stessa avvocatura ha ritenuto di "portare questo tema fuori dalle aule di giustizia per un momento di riflessione collettiva con tutta la società civile", da libero cittadino, sono, espressamente, sollecitato ad intervenire.
A ciò si aggiunga che, quale moderatore, c'è stato Domenico Russo, con la docente universitaria Antonella Marandola.
Il mio personale, positivo giudizio nei confronti dell'avvocato Russo, che conosco e stimo, è tale che, da subito, sono stato convinto della singolarità del convegno che, senza dubbio, si sarebbe, a ragione, inserito nel momento delicato che il pianeta giustizia attraversa.
Non mi sono affatto sbagliato. L'interesse di quanto ascoltato non è stato privo di curiosità e singolari valutazioni.
C'è, però, di più.
Prima dell'assise al Teatro Comunale, con il direttore di "Gazzetta", nella redazione del giornale, c'è stato un incontro riservato con Beniamino Zuncheddu, rappresentante di uno dei più clamorosi errori giudiziari che la storia italiana ricordi, 33 anni trascorsi in carcere ingiustamente, accompagnato dal suo legale, ed anche con Raffaele Della Valle, difensore di Enzo Tortora.
Ho parlato, riservatamente, con entrambi e, mi si creda. è stato davvero stimolante.
Con Della Valle ho condiviso tante realtà odierne e, nel momento, in cui quest'ultimo ha ricordato il padre, magistrato dei tempi addietro, si è commosso.
Non lo nego che un brivido mi ha assalito.
Quando ci siamo abbracciati e gli ho detto che le sue parole, critiche della magistratura, erano state per me un toccasana, avendole subite di tutti i colori per essermi posto contro il potere imperante, lui mi ha dato il suo numero di telefono ponendosi a disposizione se ne avessi avuto ancora bisogno. 
I casi di errori giudiziari ascoltati conducono, in ultimo, ad una sola e ben precisa considerazione: quella che la giustizia non possa continuare ad essere un terno a lotto, anche se sia difficile negare che vi siano, comunque, molti magistrati che lavorano con professionalità, coraggio e dedizione.
Talvolta, però, è inutile negarlo, sembra trovari dinanzi ad una lotteria. Quasi una giostra, da cui si può scendere con l'onore restituito oppure infangati fino a sopra i capelli.
Il malcapitato iscritto nel registro degli indagati verrà, da subito, massacrato dalle istituzioni, vilipeso dalla stampa e, qualora ricopra cariche pubbliche, emarginato dai colleghi, soprattutto se amici.
Il potere dei magistrati è di gran lunga superiore a quello di qualunque altro professionista ed autorità. Con un semplice provvedimento, spesso rivisto in Appello od in Cassazione, possono distruggere persone, paralizzare imprese, sconvolgere mercati.
I magistrati sono gli unici a non avere datori di lavoro.
Il problema è proprio questo.
Loro non devono dare conto ad alcuno, come invece si fa in ogni ambito lavorativo. In qualsiasi lavoro del mondo se fai uno sbaglio grave, vieni licenziato, nella magistraura italiana, no. Falcone e Borsellino avevano ben compreso il quadro.
Tutti questi concetti, sin qui esposti, di lapalissiana evidenza, che, oggi più di ieri, balzano, prepotentemente, agli occhi di tutti, è inutile ribadirli ancora.
L'invito alla riflessione collettiva chiesto, ripeto, dall'avvocatura locale mi spinge, volutamente, ad esporre personali esperienze.
L'incontro odierno, mentre ascoltavo quanto veniva esposto, d'un tratto, senza che me ne accorgessi, mi ha fatto trovare proiettato nel rivivere esperienze dolorosissime vissute, appunto, in prima persona.
In alcuni momenti della vita, mi sono trovato solo senza sapere a chi rivolgermi. In tanti anni, infatti, credendoci con tutto me stesso, le mie lotte le ho portate avanti.
Ho trovato, sempre ed in ogni occasione, il coraggio di parlare e la voglia di chiarire. I silenzi pesano come pietre e le pietre diventano muri. In ultimo, non avendo trovato giustizia, nella sera della vita, ho imparato a dosare tutto; parole, amici e fiducia.
In questa circostanza, segnatamente, nel corso dell'incontro privato con Della Valle, tanti episodi, ripeto, sono emersi dai cassettini della mia memoria, per dirla con Pietronigro, che, in ultimo, mi hanno portato a perdere la fiducia nella magistratura.
Allo stato, quotidianamente, si parla tanto della precaria situazione in cui versa il nostro Ospedale.
Bene. Molte, in proposito, le mie rivendicazioni negli anni addietro. Da quella per l'istituzione di un reparto di neurochirurgia, all'acquisto di un apparecchio per praticare le Tac (conti alla mano, dimostrai che con la stessa cifra impegnata annualmente con un centro fuori sede, in un solo anno si potevano comperare due apparecchiature); dai macchinari per la radioterapia depositati nei depositi del "Rummo" mentre i medici radioterapisti venivano utilizzati al Pronro Soccorso, alle stridenti anomalie per il riconoscimento delle invalidità civili, e giù di lì. Senza ricordare che il servizio che ospitava i malati mentali era un ghetto da terzo mondo. L'elenco sarebbe lungo, molto lungo.
Mentre io lottavo, venivo colpito da tutte le parti. Segnatamente, un magistrato, donna, mi perseguitava.
All'improvviso, il marito di quest'ultima, avvocato, venne coinvolto in uno scandalo da brividi, proprio nel campo sanitario, e, finalmente, lei la smise di seguire i miei passi in quanto costretta a lasciare il Tribunale di Benevento ed essere destinata in altra sede.
Ancora qualche fugace ricordo, fra i tanti.
I due enormi faldoni che custodivano tutta la documentazione per il riconoscimento del mobbing scomparvero nel nulla. Mai un riscontro alle mie reiterate richieste di spiegazioni. L'indagine, è ovvio, fu privata degli elementi fondamentali.
Che dire, poi, della pratica di licenziamento, proprio per avere smosso le acque in determinati settori, avviata nei miei confronti dall'allora direttore generale dell'Asl, Bruno De Stefano?
La Procura di Benevento, ancora una volta, fu silente. Se non avessi avuto l'ardire di rivolgermi a quella di Napoli ed ai Carabinieri di Caserta, sarei stato licenziato e, oggi, non percepirei la pensione.
Le intercettazioni disposte dal sostituto procuratore di Napoli, appunto, Francesco Curcio, sono di uno squallore senza eguali.
In proposito, si addice per me l'affermazione che Raffaele Della Valle, riferendosi a Tortora, fa nel suo libro "Quando l'Italia perse la faccia" che, ieri pomeriggio, ho divorato in poche ore.
"Di contro, si legge, si fa davvero fatica a credere che tutti coloro che hanno offeso la dignità e il prestigio di Tortora, umiliandolo in ogni modo, siano rimasti al loro posto e, col tempo, siano stati finanche premiati con vergognosi avanzamenti di carriera".
Parimenti, i soggetti che, come si evince dalle intercettazioni, appunto, preparavano a tavolino il mio annientamento professionale, dopo il clamore iniziale, sono rimasti al proprio posto facendo anche carriera.
L'ultima ciliegina è rappresentata da una storia semplice che, tuttavia, non è facile, in questa particolare circostanza, rinunciare a raccontare.
Per un banalissimo contenzioso civile con l'Asl, l'avvocato nominato dall'Ente, invece, come da prassi, limitarsi a contestare l'infondatezza della mia richiesta, non molti anni fa, nella difesa scritta, si è lasciato andare ad amenità rimaste senza condanna, tra cui: "Non date credito a De Lorenzo. Lui è un avanzo di galera, truffatore, falsificatore di bilanci".
Di tante avversità subite, forse, senza tema di smentite, queste calunnie, perchè di calunnie si tratta, non riesco, per quanti sforzi faccia, a mandarle giù.
Il magistrato, ancora donna, udite!, udite!, ha chiuso la mia querela in istruttoria con una motivazione risibile, dichiarando: "Nella difesa queste frasi sono ammesse".
Questo è il livello della giustizia qui da noi.
Nel momento in cui cercai di chiedere a quel legale come fosse arrivato a tanto, ricordandogli qualche evento che lo riguardava e che lui ha sempre volutamente taciuto, ha imbastito una serie di accuse impensabili ed indefinibili nei miei confronti.
Di qui, un prosieguo allucinante. In ultimo, la mia querela si è persa nel nulla , invito la Procura a dire che io stia dicendo falsità, mentre la sua, imbastita di menzogne nella tema che io parlassi, in ultimo, è giunta nelle mani di un magistrato, sempre donna per non cambiare copione.
Mi sono sentito risollevato con la certezza che, finalmente, avrei avuto giustizia. Quel magistrato, per fatti gravissimi, anni fa, aveva saputo rivolgermi a me per essere aiutata quale medico.
Non ho, di certo, sperato di avere una corsia preferenziale, ma almeno la certezza che lei mi conoscesse bene avendo avuto modo, per sue esperienze personali, di verificare il mio modo di agire nella vita, come nella professione.
Mi sono sbagliato, ancora una volta. Lei ha dimenticato, con un colpo di spugna, la delicata circostanza che la interessò, ha dimenticato quanto, esponendomi in prima persona, ebbi modo di fare per la sua famiglia, ha dimenticato che, all'epoca dei fatti, fui il solo a pormi contro la stampa inferocita, ha dimenticato che, dopo la morte tragica di un suo congiunto, per difendere i suoi, fui anche contestato dal magistrato di Roma, nominato per competenza territoriale. Mi fermo qui. Se qualcuno gradisce che io parli, alla mia età, non ho paura di nulla. Peccato che non ci sia più il compianto avvocato Franco Leone.
In ultimo, il magistrato, solo pochi mesi fa, ha condannato me. Quindi, in questa città, un professionista può essere etichettato, gratuitamente: "Avanzo di galera, truffatore, falsificatore di bilanci" ed, in ultimo, invece di essere difeso, viene condannato.
E' ben noto che ho svolto e continuo a svolgere la professione senza percepire onorari. Ecco perchè gli epiteti di quell'avvocato sono imperdonabili.
Prima di lasciare la scena del mondo, dinanzi alla scioccante realtà, quell'avvocato dovrà avvertire, almeno lo spero, il bisogno di chiedere scusa.
Caro Domenico Russo, amico carissimo, voglio sperare che l'incontro di oggi serva, in ultimo, a qualcosa e riesca, anche qui da noi, a smuovere le acque che, come vedi, non sono proprio cristalline. 
Perdonami, ma, nel ringraziarti per le emozioni che mi hai permesso di vivere, per il bene che ti voglio, sono convinto che lunedì mattina tutto resterà come prima ed alcuno avvertirà il dovere morale di chiedere spiegazioni per quanto dichiarato.
E c'è ancora un'altra realtà particolare che non può essere taciuta. Realtà cui, anni fa, furono accaniti e giusti contestatori due avvocati, Ismaele De Ciampis, che non è più, e Gino De Pietro.
Ne ho scritto spesso in questi ultimi anni, ma, guarda caso, il problema, oggi, è stato ripreso proprio da Della Valle.
De Ciampis e De Pietro, a gran voce, posero, ed a ragione, il fatto che, negli anni Cinquanta, Sessanta, ai magistrati non fosse permesso di svolgere la propria attività nello stesso Palazzo di Giustizia ove esercitavano congiunti diretti ed anche non essere destinati nelle zone di origine, in definitiva, in una piccola comunità come la nostra, ove ci conosciamo tutti.
Oggi, invece, tra le stesse mura, troviamo magistrati con fratelli, sorelle, mariti, mogli. E' una realtà allucinante. E Della Valle ha fatto anche un'aggiunta. Spesso non si tratta solo di familiari, ma anche di amanti. Io, a quattr'occhi, ho confidato delle realtà a Della Valle che non si è affatto stupido. "Vede, mi ha detto, che ho ragione".
Il discorso, caro Domenico, sarebbe lungo, molto lungo.
Intanto, ti rivolgo un abbraccio morbido e cordiale".

comunicato n.164176




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