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Benevento, 28-05-2023 20:59 ____
Il libro di Roberto Costanzo, "L'altra Campania" si presta a diversi approcci di lettura, oltre quello militante, politico-civile
Ne suscita percio' anche una in prospettiva storica delle permanenti difficolta' delle culture politiche riformatrici, una metodologia centrata sul principio cardine delle autonomie locali sancito dalla sociologia cattolica sturziana
di Antonio Gisondi
  

"L'altra Campania" è l'ulteriore felice conferma della fecondità metodologica che caratterizza l'esperienza politica riformatrice, di lunghissimo corso, di Roberto Costanzo (foto).
Ma, come vedremo, è anche la consapevole e sofferta conferma dei permanenti rischi che storicamente hanno corroso e corrodono la cultura del "riformismo possibile".
Specialmente nelle realtà dove per ragioni storiche l'intelligenza sociale fatica a diventare massa critica e soggetto civile-politico attivo.
Il libro si presta a diversi approcci di lettura, oltre quello militante, politico-civile.
Suscita, perciò, anche una lettura in prospettiva storica delle permanenti difficoltà delle culture politiche riformatrici
Quella metodologia, centrata sul principio cardine delle autonomie locali sancito dalla sociologia cattolica sturziana, come avvenne già per Bosco Lucarelli, alimenta il riformismo possibile che caratterizza il tutto percorso teorico e pratico di Costanzo, anzitutto nell'indagare le potenziali risorse della Campania dell'osso.
Il riformismo "possibile" nelle aree interne del nostro Mezzogiorno, si fonda così su due capisaldi, uno istituzionale, l'altro naturale: il primo, la Regione, con tutti i suoi limiti, come soggetto istituzionale della trasformazione del territorio.
Il secondo: le diverse risorse e potenzialità dello stesso territorio.
Le quali variano di importanza o di suscettività col variare delle congiunture economiche, produttive, del mercato locale e globale, dei mezzi tecnici e delle conoscenze scientifiche, della circolazione delle idee, della emersione di bisogni.
Non ultima, del fattore demografico.
Sulla base di queste sperimentate acquisizioni culturali e politiche Costanzo ha potuto decostruire la riduzione deterministico-naturalistica della condizione delle zone interne: condizione che nell'assetto regionale campano ha ridotto il nostro Sannio a parente povero da assistere e soccorrere.
Nelle analisi di Costanzo è la storia, ben più della natura o della geografia, ad aver favorito quella condizione.
Per cui quella stessa storicità dell'economia e del mercato, consente oggi una ben diversa lettura delle risorse naturali e delle potenzialità del territorio provinciale, sia pure "costruito" con il compasso nel 1860.
Allora, nell'attuale congiuntura politico-economica europea e globale, la dorsale appenninica da "osso" può diventare "polpa", l'acqua da pericolo può diventare ricchezza; il vento, il sole, il paesaggio, la collina e la montagna, possono costituire fonte straordinaria di civiltà delle rinnovabili, di sviluppo sostenibile dopo la fine della civiltà del petrolio e delle fonti fossili.
Le due Campanie, della costiera e dell'Appennino, da sempre contrapposte, possono formare la nuova Campania, necessaria oggi per far fronte alle varie sfide energetiche, di urbanizzazione violenta e incontrollata. Ma anche di desertificazione progressiva delle zone interne.
Si tratta di una sfida non nuova: quel riformismo, infatti, ha alle spalle una ricchissima sedimentazione teorica e pratica.
A partire dalla metà del Settecento ad opera del padre di tutto il riformismo illuminato napoletano ed europeo, Antonio Genovesi. E del suo mecenate, Bartolomeo Intieri.
Riformismo tentato poi nel nostro Sannio, con l'esperienza di Louis de Beer (1806-1812) e di Carlo Torre, autore del manifesto del "riformismo pontificio" nel 1847, poi primo governatore della provincia nel 1860-61.
E' necessario sottolineare, però, che si tratta di esperienze riformatrici accomunate dallo stesso infelice esito: quella di Genovesi, pur diffusa in tutto il Regno dal partito genovesiano formato dai suoi numerosissimi allievi, finita osteggiata dall'autoconservazione feudale-borbonica, quindi prevaricata dal giacobinismo e dalla rivoluzione.
Quella di De Beer, schiacciata dal ritorno dell’antico regime feudale laico ed ecclesiastico, dopo Napoleone. Quella di Torre, ignorata dal patriziato, sopraffatta poi dal legittimismo e dal brigantaggio.
Né miglior fortuna ha avuto nel Novecento la "missione" riformatrice del Mezzogiorno di Manlio Rossi Doria. E di molti altri protagonisti di quella stagione riformatrice.
Ed ecco, la seconda "conferma" implicita in questa "Altra Campania", enunciata all'inizio.
Oggi, lo stesso Costanzo, con amarezza riconosce che anche la sua attenta lettura riformatrice del territorio, da più di 50 anni tesa a superare la contrapposizione-storica e non deterministica, tra le due Campanie, la tirrenica e l'appenninica, ha avuto scarsi risultati" (p. 68), ed è rimasta senza esiti (p. 130).
Eppure, già la sottolineatura della storicità di questa contrapposizione, fatta da tempo dallo stesso Costanzo, e indagata dalla storiografia nella sua dimensione secolare con Giuseppe Galasso, è di per se un'acquisizione politico-culturale di enorme rilievo. Perché essa significa il superamento critico del vittimismo, del determinismo, e del provvidenzialismo, che pure hanno sorretto molte analisi della impari competizione politica e produttiva della provincia (ma anche del Mezzogiorno) nel mercato nazionale e globale di idee, beni e saperi, dal 1860 in poi.
Affiora, perciò, nelle stesse analisi di Costanzo l'avvertita e sofferta consapevolezza che un sapere riformatore analitico-sperimentale, non ideologico né occasionale, per diventare argomento davanti al tribunale dell’opinione pubblica e, quindi, potenziale prassi politica, richiede una vera e propria rivoluzione culturale (p. 48).
Che evidentemente è mancata sia in sede, appunto, istituzionale regionale, sia di discussione politica provinciale. E non solo a causa della odierna fatiscenza del sapere civile-politico. Ma già all’epoca dei partiti democratici di massa.
Per cui lo sconforto (p. 135) per essere poco ascoltato (p. 132), anche in una robusta coscienza democratica può generare l’ambiguo appello al demiurgo..., all'uomo solo al comando..., se anche oggi vi fosse un cardinale Orsini! (p. 64).
Nell'epoca della fatiscenza del sapere civile e della partecipazione democratica, quello sconforto denuncia, quindi, una mancanza.
Oltre quei due capisaldi (la Regione e il territorio) ne occorre oggi un terzo: la primaria risorsa morale.
Cioè il soggetto storico-sociale democratico o una rivoluzione culturale necessaria per trasformare il sapere riformatore in decisione e prassi politica.
Necessaria anche se non si vuole ancora lasciare la trasformazione ad uno strutturalistico processo senza soggetto nel quale il divenire storico sociale si riduce al puro accadere dominato dalla forza!
Come è avvenuto alla nostra provincia, svantaggiata dalla storia, che in 150 anni ha visto emigrare 300.000 suoi abitanti, (l'altra provincia).

Il libro "L'altra Campania" sarà presentato domani, lunedì 29 maggio, alle 18.00, al Teatro Comunale "Vittorio Emmanuele".

comunicato n.157230



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