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Benevento, 26-05-2023 18:07 ____
Osservando i tragici eventi di oggi ci sentiamo spinti a ricordare e rileggere il passato: Sia la storia recente, che quella lontana...
Non pochi disastri alluvionali si sono abbattuti anche nell'area beneventana negli ultimi secoli. Certamente nella nostra memoria e' ancora presente quello che accadde il 2 ottobre del 1949, che in qualche modo segno' anche una buona parte del governo della provincia in quegli anni
di Roberto Costanzo
  

E' stata giustamente grande l'attenzione, mista alla commozione, suscitata dal tragico disastro idrogeologico di questi giorni in Emilia Romagna e nelle Marche.
Vi è chi si chiede se le cause siano solo di origini climatiche e bionaturali e se non vi siano responsabilità e colpe da attribuire alle Pubbliche Istituzioni.
Ma si chiedono anche quali siano i progetti ed i propositi per l'immediato futuro. Progetti e propositi volti esclusivamente a riparare e ricostruire o anche a prevedere e prevenire?
Non pochi di noi, osservando i tragici eventi di oggi, si sentono spinti a ricordare e rileggere il passato: Sia la storia recente, che quella lontana, in cui non solo in Val Padana ma anche al Sud si sono verificate tragedie dello stesso tipo e della stessa gravità.
Non pochi disastri alluvionali si sono abbattuti anche nell'area beneventana negli ultimi secoli.
Certamente nella nostra memoria è ancora presente quello che accadde a Benevento il 2 ottobre del 1949, che in qualche modo ha segnato una buona parte del governo della provincia in quegli anni.
In seguito si decise di progettare tre dighe: una all'incrocio tra l'Ufita e il Calore presso Apice; una a Campolattaro sul Tammaro; una a Civitella Licinio di Cusano Mutri sull'Isclero.
Ma fu costruita soltanto la diga di Campolattaro, che indubbiamente rappresenta un dato positivo; tuttavia non è bastata perché per la tutela del bacino di Benevento e della Valle Telesina occorrono altre opere di contenimento e cura dei fiumi.
Qualcuno è arrivato a vedere nella diga di Campolattaro la causa e non il freno degli smottamenti e straripamenti.
Bene ha fatto Francesco Guadagno, docente universitario, a ricordarci ancora una volta che "la diga ci consente di laminare le eventuali piene e di evitare allagamenti da sotto Campolattaro fino all’area di Benevento.
Ha effetto di incameramento e di rilascio controllato dell'acqua".
Oggi possiamo ricordare varie inondazioni del secondo dopoguerra, come quella del Polesine del 1951, che tra l'altro causò 101 morti; quindi la tragica alluvione in provincia di Salerno del 1954 con il luttuoso bilancio di 325 morti; le alluvioni della Toscana del novembre del 1966 che sconvolsero la città di Firenze causando la morte di 47 vite umane.
Tante altre alluvioni verificatesi nella seconda metà del secolo scorso in Piemonte, nel Veneto, in Sicilia e in Sardegna; e quindi a fine secolo, il 5 maggio 1998, ancora in Campania a Sarno con il tragico bilancio di 160 morti. Ed anche in questo secolo vi sono state altre alluvioni in Sicilia, in Sardegna, al Centronord; e l’ultima,  precedente a quella attuale, è stata l’alluvione di Casamicciola d’Ischia che ha causato 12 morti.
Un triste primato spetta purtroppo a Salerno con 325 vittime nel 1954 e 160 nel 1998.
Nel Sannio si sono verificati vari tragici smottamenti del fiume Calore.
La storia ci ricorda quello del 1707 che distrusse i mulini ad acqua che macinavano il grano per il Regno di Napoli.
Altre gravi alluvioni nel 1740, 1770, 1811, e quella particolarmente aggressiva che nel 1851 distrusse il ponte Maria Cristina sul Calore a Solopaca.
Ed infine, quella del febbraio 1938 che provocò vari morti alla contrada Pantano e distrusse la chiesa di Sant'Onofrio nei pressi del ponte Vanvitelli.
Qui a Benevento e in provincia abbiamo ancora sotto i nostri occhi i danni provocati nell’area di Ponte Valentino, nella contrada Pantano e lungo il basso Calore, a sud di Ponte, nell’autunno del 2015 (nelle due ultime foto in basso).
Ma chi ha l’età per ricordare sta rivivendo il dramma del 2 ottobre 1949: da piazza Bissolati fino alla Stazione vi fu un allagamento che raggiunse i primi piani dei palazzi (nella seconda foto in basso il segno messo sulla facciata del palazzo di via Vittorio Veneto dove l'acqua arrivò al primo piano del costruendo stabile), cioè oltre tre metri da terra.
Vi furono 20 morti e anche la tragedia di una famiglia di sei persone, di cui si salvò soltanto un bambino, che in seguito fu ricevuto da Papa Pacelli, accompagnato dall'arcivescovo Mancinelli.
Tanti morti, tanti danni soltanto in un quartiere della città.
All'epoca non vi era ancora la televisione ed i giornali non prestavano l'attenzione di oggi ai disastri idrogeologici.
Ma il dramma fu estremo (nella foto di apertura lo sconforto di un cittadino del rione Ferrovia dinanzi al dramma costituito dal fango che aveva invaso il cortile dei palazzi).
Si parlò del dopo, delle conseguenze ma anche delle cause dell’alluvione (nella prima foto in basso una immagine, nota, dell'alluvione del 1949).
Cioè: di cosa e come fare per riparare i danni, ma anche di cosa e come fare per evitare e prevenire i dissesti ed i conseguenti danni.
Se ne parlò … .
A questo punto sarebbe il caso di chiederci perché in ogni parte d'Italia l'acqua assume forme tanto incontenibili e distruttive; quindi perché quasi in nessuna regione si riesca ad andare oltre le riparazioni.
Il problema è se dobbiamo difenderci dall'eccesso di acqua o dalla sua insufficiente gestione.
Il politologo Giovanni Sartori il 18 luglio del 2017 in un articolo sul "Corriere della Sera", scrisse che "in parecchie regioni d'Italia manca l'acqua".
Manca l'acqua o la capacità di governarla?

 

 

comunicato n.157203



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