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Benevento, 18-04-2019 08:09 ____
"Mani sulla citta'": Anni fa, ci fu un clamore mediatico senza precedenti. Alcuni conobbero la galera. Oggi, non e' vero piu' niente
Allora e' lecito chiedersi come si giunse a quelle conclusioni che, alla luce della realta', appaiono frettolose e non ponderate. La liberta' dei cittadini e' alla merce' di una casta autogovernante che non paga nulla per gli errori che compie
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Dopo la sentenza emessa ieri dai magistrati del Tribunale di Benevento, per la nota inchiesta "Mani sulla città" che, alcuni anni or sono, ebbe vasta eco a livello locale e nazionale, Peppino De Lorenzo (foto) prende lo spunto per soffermarsi sulla vicenda nel suo complesso.
Coglie, nel contempo, l'occasione, avendo vissuto anche lui una brutta esperienza giudiziaria, per annunciare, sul tema, la prossima comparsa di un suo ultimo libro, che sarà edito da "Realtà Sannita".
Ecco quanto scrive.
"La sentenza emessa ieri dai magistrati del Tribunale di Benevento, in merito alla inchiesta "Mani sulla città", induce a delle riflessioni sul sistema giudiziario italiano.
Il tintinnio delle manette non fa mai piacere a nessuno.
Le sentenze vanno rispettate. Sempre ed in ogni occasione. Ecco perchè, oggi, in tutta sincerità, il clamore che coinvolse la vicenda, con arresti eccellenti, invita a riflettere, non poco.
E' bene precisare, da subito, che con molti amministratori posti sotto accusa ho trascorso una parte importante della mia vita e, per sincerità, sono contento che sia finita così.
Anche per Fausto Pepe che, di certo, all'epoca, non mi ricambiò, in pari misura, tutto l'affetto che gli riservai, sono soddisfatto e il liberatorio risultato del verdetto dei giudizi, nel suo insieme, mi ha fatto piacere.
So bene, per esperienza personale, cosa rappresenti trascorrere anni ed anni sulla graticola, per un sistema giudiziario che fa acqua da tutte le parti.
Tra le mie vicissitudini, frutto della politica, anche io ho vissuto una simile esperienza, terribile, devastante, che ha trasformato la mia vita, dopo una disumana e gratuita denuncia presentata nei miei confronti da parte di un esponente istituzionale dell'Udeur.
Dopo una esistenza dalle mani pulite, mi trovai, d'improvviso ed inaspettatamente, alla soglia della galera.
Poi, dopo anni, sono stato assolto per non aver commesso il fatto.
Il che è gravissimo.
Ho narrato l'intera vicenda in un mio prossimo libro che sarà edito, a breve, da "Realtà sannita".
Tornando, quindi, alla sentenza di ieri, delle valutazioni vanno fatte.
Infatti, queste vicende dimostrano, ancora una volta, che, d'un tratto, ci si possa smarrire nel labirinto della giustizia italiana.
Anni fa, ci fu un clamore mediatico senza precedenti.
Alcuni conobbero la galera.
Oggi, non è vero più niente.
Allora, è lecito chiedersi come si giunse a quelle conclusioni che, alla luce della realtà, appaiono frettolose e non ponderate.
Si prenda, quale esempio, Luigi Boccalone.
La mia considerazione, si badi bene, non è dettata dall'affetto che a lui mi lega, affetto che ho
avuto ed ho, ancora oggi, con tanti di loro.
Bene. La custodia cautelare in carcere che lui provò, come la si giustifica, con l'odierna sentenza?
Il dolore della sua mamma, di suo padre, dei suoi familiari, in quelle ore e dopo, sarà stato senza misura.
Il carcere preventivo appare, quindi, una ingiusta forma di pena anticipata che ormai arriva a prescindere dalle reale colpevolezza degli indagati.
Del resto, mentre la media europea è del 10%, qui, in Italia, la custodia cautelare raggiunge il 43%.
Edmondo Bruti Liberati fu il solo capo di una Procura italiana che, anni fa, abbia avvertito il dovere di pregare i suoi sostituti di limitare al massimo il ricorso alla custodia cautelare.
La libertà dei cittadini, qui da noi, è alla mercè di una casta autogovernante.
Processi che vengono rimandati di anno e più.
Qui, si arrestano le persone senza colpe certe (non si dimentichi l'altro caso clamoroso tratto dalle cronache recenti, l'arresto del sindaco di Cusano Mutri, Giuseppe Maria Maturo poi assolto da ogni addebito ndr) perché, in ultimo, non c'è affatto responsabilità.
I magistrati italiani, segnatamente quelli dalla galera facile, sanno bene che non rispondono a nessuno.
Per il più semplice errore, il medico, l'avvocato, qualsiasi altro professionista pagano, solo il magistrato, forte della casta cui appartiene, non paga mai.
Per questo, il problema giustizia rappresenta una urgenza non più rinviabile.
In un solo istante, ti fanno perdere tutto, i ricordi, le parole, il pensiero. Poi, e quello di ieri è l'ultimo dei casi, il verdetto arriva, se arriva, dopo anni.
Sosteneva Thorean, filosofo statunitense, che "sotto un governo che imprigiona ingiustamente, il vero posto per un uomo giusto sia proprio la prigione".
Giovanni Falcone, dinanzi anche a questa vicenda in cui, con estrema disinvoltura, si è passati dal giudizio di amministratori corrotti, poi, in ultimo, ritenuti onesti, si sarà, ancora una volta, rivoltato nella tomba.
Ed è spiegato il motivo. Il suo maniacale rigore investigativo lo induceva, sempre ed in ogni occasione, ad evitare di condurre a processo anche il più incallito dei mafiosi senza che, alla base, non vi fossero prove schiaccianti. Non arrestava neppure il peggiore dei criminali su teoremi, supposizioni o voci, ma solo su fatti precisi e circostanziati.
Sono storie che vanno valutate, prima di prendere delle decisioni. Il magistrato non può e non deve arrestare senza certezze.
Dal giorno in cui, senza motivi validi, ho per poco scansato la galera, non mi sono sentito più in uomo libero.
Ancora oggi, quando incrocio un blindato della polizia penitenziaria mi ritornano in mente i giorni vissuti. Quando sento suonare il campanello di casa al di fuori degli orari consueti penso che possa accadermi qualcosa.
E', quindi, davvero disarmante la facilità con cui si fanno richieste cautelari. In questo modo,  vengono intessute tesi accusatorie e dispensati avvisi di garanzia, nonchè, appunto, richieste cautelari. Così, si è fatti fuori dalla vita sociale, civile, politica.
Per taluni errori, alcuno viene risarcito a sufficienza.
Come accadde per Giovanni Leone, Walter Chiari, Lelio Luttazzi, Enzo Tortora e le altre centinaia di migliaia di persone distrutte da accuse che gridano, ancora oggi, vendetta al cielo.
Non mancherà qualcuno, si può essere certi, che parlerà di sentenza ingiusta. Spesso si è più disponibili a vedere colpevoli dovunque. Il che è disumano.
Per me ci fu un avvocato che, in un contenzioso civile con l'Asl, ebbe l'ardire, o meglio la spudoratezza di scrivere nella memoria difensiva: "Si tratta di un pregiudicato, non dategli credito".
Ancora oggi, ogni commento appare superfluo.
Mio padre ripeteva, giustamente, che sulle altrui sofferenze non si costruisca nulla di buono.
Ed aveva, pienamente, ragione".

comunicato n.121641



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