| Benevento, 08-09-2017 10:33 |
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Nonostante il boicottaggio cui fu sottoposta Loretta Mussi e la propaganda contro resta come fattivo esempio che un'altra sanita' e' possibile
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Redazione |
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Gerardo De Gennaro ripercorre i tempi che furono di massimo splendore dell'Ospedale "Rummo" con la gestione di una manager lombarda, Loretta Mussi, ma amante della nostra terra.
"L'ennesimo episodio di "malasanita" - scrive - che l'Azienda Ospedaliera sta vivendo negli ultimi due anni riguarda il dissolvimento della guardia medica di Ortopedia.
Primari in "libera uscita" per meglio mettere a disposizione le proprie professionalità e competenza, natualmente mi riferisco a quelle figure di primo piano di cui l'Ospedale si è dotato.
Disagi da parte di quei pazienti, che da sempre sono costretti a rinviare i propri esami strumentali per via di macchinari e attrezzature talvolta obsolete, molto spesso abbisognevoli di manutenzione.
Una pianificazione ed un'attenta riorganizzazione dei reparti ferma da tempo; una edilizia ospedaliera che va a passi di lumaca.
Insomma, una lenta agonia di un Ospedale che, sotto la direzione generale di Loretta Mussi, aveva raggiunto splendori mai avuti prima.
Donna, medico e dirigente come Loretta Mussi, se ne trovano poche in giro.
Nata in Lombardia ed amante della nostra terra, può apparire una contraddizione.
Ma lei è donna d'altri tempi.
La passione per il proprio lavoro l’ha portata a difendere sempre i diritti di cittadinanza non sposando le logiche di "clientela" dei partiti.
Rimossa dal suo incarico per aver destituito un primario consumando così il suo più grave e fatale dei delitti: "abuso dei poteri".
Esponenti dei maggiori partiti l’hanno invitata ad andarsene dalla Campania.
Due processi in attivo e un terzo in arrivo per "falso ideologico".
Arrivò a Benevento l'8 gennaio 2001.
Fedele al suo mandato, si attivò per garantire trasparenza e legalità all'azione amministrativa e per dotare il Rummo di tutte quelle specialità di cui doveva disporre per poter garantire (esclusi gli interventi di altissima specialità) l'autosufficienza delle cure per gli abitanti della provincia, ma anche per quei cittadini che pur appartenendo a province limitrofe (Avellino, parte della cintura napoletana, lo stesso Molise) per ragioni geografiche, orografiche e di collegamento sarebbero stati certamente favoriti dalla presenza di una straniera.
L'offensiva dei partiti e della parte più corporativa dei sindacati, non tardò a manifestarsi: la prima rottura con la segreteria di Bassolino, a capo della quale vi era proprio un beneventano, fu sulla nomina del direttore sanitario che lei fece autonomamente, non era al corrente che gli accordi prevedevano una stretta e reciproca lottizzazione nelle nomine, tra Azienda Ospedaliera, in quota Ds, ed Asl in quota Udeur.
Successivamente, cominciò ad avere intralci e sollecitazioni sulla nomina dei primari, sui concorsi, sul trasferimento del personale, sulle nomina dei coordinatori infermieristici, sulla stessa dislocazione degli infermieri all'interno dell'Ospedale.
Mano a mano che il tempo passava, i rapporti tra lei ed i partiti, tutti, ma in particolare quelli del centrosinistra che ritenevano di avere un diritto sulla Azienda ed i sindacati, credo in gran parte influenzati dai partiti di riferimento, ma anche da piccoli potentati locali, si deteriorarono tanto che furono organizzati ben due Consigli comunali aperti, al Comune di Benevento, nei quali veniva messo sotto accusa il mio operato.
Per cinque anni venne sistematicamente attaccata sui giornali locali, abbandonata, quando non combattuta, da parte di quelle forze che avrebbero dovuto invece darle una mano e nulla le fu perdonato. Rispetto a ciò, contò molto, credo, anche il fatto che fosse una donna e per di più quasi straniera.
La radiologia era fatiscente e chiusa al pubblico, la medicina un cronicario, le chirurgie poco facevano, con l’eccezione della Otorinolaringoiatria e della Ortopedia. Pronto Soccorso, Medicina d'Urgenza e Terapia Intensiva lavoravano secondo schemi e modelli assai antiquati, la Radioterapia non effettuava prestazioni, nonostante la presenza di un acceleratore lineare, il cui funzionamento, mi fu detto, era stato boicottato fin dall'inizio.
Vi era anche una camera iperbarica nuova ma non attiva.
Scarsa era l'attività nell'area materno-infantile.
Funzionavano, invece, discretamente i laboratori ed il centro trasfusionale.
Al termine del mandato nel 2005, l'Azienda aveva cambiato completamente volto.
Oltre all'ammodernamento della struttura ed al rafforzamento delle specialità già presenti, furono attivate specialità centrali nell’emergenza e fortemente richieste come: la Cardiologia interventistica e la Chirurgia vascolare, la Neurochirurgia con neurorianimazione e Neuroradiologia, la Riabilitazione con particolare attenzione ai neurolesi, la Chirurgia maxillo-facciale.
Fu cambiata la gestione dell'emergenza e si investì molto oltre che sulla struttura, su assunzioni e formazione del personale per Pronto Soccorso, Medicina d'urgenza e Terapia Intensiva.
Infine, furono istituiti e strutturati quattro servizi che ritengo indispensabili per il buon funzionamento di una struttura ospedaliera ad elevata specialità: il Servizio di Prevenzione e Protezione per la tutela della salute degli operatori e per la sicurezza, il Servizio di Ingegneria Clinica, preziosissimo per la sicurezza di operatori e pazienti, per mantenere in efficienza le attrezzature elettromedicali oltre che per operare forti risparmi su acquisti e manutenzione, il Servizio Tecnico-Infermieristico che diede nuova dignità e consapevolezza ad una professione, quella di infermieri e tecnici, centrale e sempre in prima linea nella cura e assistenza dei pazienti, il Dipartimento di Qualità fondamentale per la formazione, il controllo di gestione, i processi di valutazione e per il governo clinico e del rischio che purtroppo non facemmo in tempo ad attivare.
Le cose che riuscì a fare furono tantissime e ciò fu possibile per la passione che muoveva la sua squadra, per la partecipazione convinta di tanti operatori vecchi e nuovi e di tutte le professioni, per aver messo al centro della nostra azione la salute dei cittadini che si rivolgevano alla struttura ed il bene pubblico, per aver puntato, inoltre, sempre e solo sulla professionalità.
L’esperienza del Rummo, nonostante il boicottaggio cui fu sottoposta e la propaganda contro, resta comunque come fattivo esempio che un’altra sanità è possibile anche in Campania e nel mezzogiorno purché popolazione ed addetti sappiano sottrarsi alla sudditanza che l'attuale mediocre classe politica riesce ancora ad imporre".
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