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Benevento, 12-09-2021 09:11 ____
L'ancora attuale storia di Enzo Tortora non manca negli show mediatici sulla politica giudiziaria da parte di avvocati, magistrati, psicologi
Nulla e' cambiato se non in peggio da quel lontano 1983. L'accusatore del presentatore, 'O nimale, era ospite del carcere di Benevento, ricorda Peppino De Lorenzo ed io fui nominato dal magistrato per periziarlo
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Peppino De Lorenzo, questa settimana, prende lo spunto dai quotidiani show mediatici relativi ad argomenti di politica giudiziaria e di episodi criminosi di rilievo per ritornare a parlare di giustizia e, per l'occasione, prende ad esempio il caso di Enzo Tortora (la foto si riferisce alla recente campagna condotta anche a Benevento dai Radicali, di cui Tortora fu parlamentare europeo, per la raccolta di firme sulla giustizia).
In proposito, ricorda la permanenza qui a Benevento, nel supercarcere, in quegli anni da poco inaugurato, di Pasquale Barra soprannominato " 'O nimale".
Dell'incontro di De Lorenzo con il peggiore accusatore di Tortora, tempo fa, già abbiamo scritto, insieme all'esclusiva concessa a "Il Fatto Quotidiano", con un articolato intervento a firma di Janualia Piromallo.
Oggi, il confronto con la realtà odierna permette a De Lorenzo di arricchire il tutto di particolari.
"Pochi sono a conoscenza che, nel corso degli anni in cui il processo a carico di Enzo Tortora, uno dei più noti ed indimenticati conduttori televisivi, dal primo giorno del suo arresto, avvenuto all'alba del 17 giugno 1983, il suo più acerrimo accusatore, Pasquale Barra, detto " 'O nimale", per diversi mesi soggiornò nel nostro supercarcere, da poco inaugurato.
Il caso di Enzo Tortora, senza tema di smentite, nella storia della magistratura, rimarrà esemplare per l'ingiustizia italiana.
Quando, è inutile negarlo, il fatto ebbe a verificarsi la stragrande maggioranza del popolo lo condannò senza pietà.
Una storia, quella di Tortora, ancora attuale in quanto proprio oggi non mancano gli show mediatici di avvocati, magistrati, psicologi che, quotidianamente, fanno uso improprio di argomenti di politica giudiziaria e di episodi di rilievo.
Nulla, quindi, è cambiato se non in peggio.
Quella mattina, attraverso un esercito agguerrito di giornalisti e fotografi appostati dinanzi alla Questura di Roma, la foto di Tortora in manette, in poche ore, fece il giro del mondo.
In ultimo, dopo un calvario innarrabile, alcuno dei pentiti sbugiardati fu incriminato, processato o condannato per calunnia.
Alcuno dei magistrati coinvolti fu, poi, inquisito. Come si verifica in Italia, fecero una splendida carriera, quale premio al loro operare con superficialità.
Addirittura, Lino Jannuzzi, suo difensore, fu condannato a risarcire lautamente i giudici che lo arrestarono e processarono per aver offeso la loro reputazione.
Nel 1987, a quattro anni dall'inizio di quel calvario, Tortora morì di cancro.
Bene. Singolare per me fu, tra i tanti, l'incontro avuto, presso il carcere di Benevento, quale perito d'ufficio nominato da un magistrato del nostro Tribunale, con Pasquale Barra, " 'O nimale", uno dei principali accusatori di Tortora.
Mi descrisse, atto per atto, con una minuzia di particolari, i momenti salienti, ed erano tanti, della sua movimentata esistenza, permettendo di evidenziare una sconfinata fiducia in se stesso ed un senso incarnato della convinta importanza delle sue idee.
Con dovizia, mi descrisse l'uccisione di Francis Turatello, nel carcere di Nuoro, ribadendo: "Lo colpii con quaranta coltellate, lo squartai, azzannai le budella e le legai alla sua gola".
E su questa scia proseguì il racconto nel corso del nostro incontro che ebbe una durata di diverse ore.
Così mi parlò dell'uccisione in carcere di Antonio Corona, boss di Castellammare di Stabia, di Domenico Tripodo, capo della "Ndrangheta calabrese", di Francesco Diana, consigliere comunale di San Cipriano di Aversa, colpito, quest'ultimo, con trantacinque coltellate nel carcere di Aversa, solo per citarne alcuni.
Di lui ricordo un io onnipotente come pochi ne ho visti, poi, nella mia non breve carriera. Il suo discorrere era intervallato da lunghi silenzi. In definitiva, si sentiva padrone del mondo.
Non nego che quanto più intensa si faceva la sua partecipazione alla descrizione del suo vissuto era quasi piacevole ascoltarlo.
Aveva qualità intellettive fuori dall'ordinario. Ne ero come ammaliato.
Quando, in ultimo, ci congedammo, nel timore, da parte sua, di miei involontari errori di valutazione, mi disse: "Senti, dottore, io non sono pazzo. Tienilo presente nella tua relazione.
Io, timidamente: "Dichiarando che lei sia sano di mente non le porterà un vantaggio. Non crede?".
Lui, con tono fermo e deciso, quasi irritato: "Dottore, aggiunse, lo fai o lo sei? L'essere dichiarato infermo di mente, con un solo colpo, farebbe crollare tutta la mia credibilità di uomo d'onore e di attuale collaboratore di giustizia".
Alzando la voce, aggiunse: "Ora puoi anche andare". E mi congedò come fossi un giovane garzone di bottega che aveva terminato le consegne.
Fu così che, in silenzio, aperta la porta, chiesi, cortesemente, ai Carabinieri che mi avevano accompagnato di condurmi verso l'uscita.
Quella, ancora oggi, per me rimane una giovanile esperienza di medico, allora poco più che trentenne che non ho mai dimenticato".

comunicato n.143560




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